FINALITA’ EDUCATIVA
Educare contro il bullismo e il cyberbullismo . Comprendere che l’accoglienza
di tutti è la base di una buona convivenza e di un sano clima di gruppo. Interiorizzare che l’ emarginazione, l’esclusione,
e la prevaricazione sono da combattere.
ATTIVITA’
Su un gruppo minimo di dodici
persone il conduttore chiede a quattro o cinque «volontari coraggiosi» di farsi
avanti e di uscire dalla stanza con lui. Sulla testa di ogni volontario viene
posta una corona di carta con un’etichetta, ossia la scritta di un ruolo che
definisce un’identità di gruppo. Solitamente le etichette utilizzate sono
quelle de «il tipo giusto», «il simpatico», «il capo», «lo sfigato»,
«l’antipatico», «l’inesistente» e possono presentare indicazioni su come essere
«trattate»: ad esempio sotto quella de «l’inesistente» ci può essere scritto
«ignoratemi» o sotto quella dello «sfigato», «prendetemi in giro». I volontari
non devono sapere quale etichetta gli è toccata in sorte e tra loro non devono
suggerirsi pena la fine del gioco. I volontari e il conduttore raggiungono il
gruppo per iniziare una discussione pretestuosa su un argomento a scelta, come
ad esempio l’organizzazione di una gita di qualche giorno. L’attività risulta
più semplice se i conduttori sono due: il primo esce coi volontari e il secondo
può stare con il resto del gruppo e istruirlo. Il mandato per tutti i
partecipanti è quello di prendere parte alla discussione attenendosi alle
etichette. Dopo dieci o quindici minuti di discussione, la simulazione viene
interrotta, ma i volontari devono mantenere le etichette in testa. Il
conduttore passa in rassegna uno dopo l’altro tutti i volontari per rivolgere
loro alcune domande: «Come stai?», «Cosa hai provato durante la discussione?»,
«Come si sono comportati con te i tuoi compagni?», «Cosa hai pensato durante la
simulazione?», «Quali comportamenti hai messo in atto?» e alla fine prima di
sfilarsi la corona di carta «Cosa pensi ci sia scritto sulla tua etichetta?».
Dopo questa fase che serve soprattutto a chi indossava le etichette negative
per elaborare il proprio vissuto, inizia una discussione guidata sui meccanismi
di gruppo.
CONFRONTO E DISCUSSIONE
. – Esistono queste etichette nei gruppi della vostra età? Quali altre
etichette conoscete?
– Chi decide le etichette?
– Perché esistono certe etichette? A cosa servono?
– Conoscete qualcuno che per un’etichetta ha avuto delle difficoltà? Come
è andata a finire?
L’attività utilizza perlopiù
etichette maschili questo è dovuto al fatto che le dinamiche tra ragazze sono
il più delle volte sottili e implicite, e per questo motivo poco si prestano
alla simulazione. Si consiglia di approfondire il tema dei meccanismi al
femminile durante la discussione.
– Sono diverse le etichette dei ragazzi da quelle delle ragazze? Quali etichette
circolano tra ragazze?
– Quali sono i comportamenti che le ragazze mettono in atto per fissare
un’etichetta?
– Quali sono le paure dei ragazzi e quelle delle ragazze in un gruppo? Quali
sono le etichette più temute? Perché?
BULLISMO OGGI Stralcio di
articolo di Silvia Vegetti Finzi, docente di Psicologia Dinamica all'Università
di Pavia
Nel tempo della "paura
liquida", il problema del bullismo sembra essere uscito dalle aule
scolastiche per rivelarsi un fenomeno collettivo vasto e complesso, che
interroga la nostra capacità di educare, convivere e progettare un futuro
possibile e desiderabile. Come sopraffazione intenzionale e ripetuta del più
forte sul più debole, il bullismo è sempre esistito, ma i modi con cui si
manifesta variano a seconda dei tempi, dei luoghi, dei contesti ambientali,
delle situazioni familiari e dei temperamenti personali. Nella società
patriarcale, i frequenti atti di bullismo costituivano l'esito di un'educazione
autoritaria e punitiva per cui i figli erano indotti, aggredendo i compagni, ad
agire attivamente quanto avevano subito passivamente. Ma nella famiglia
attuale, affettiva e permissiva, sono altre le dinamiche che possono indurre i
ragazzi, in particolare gli adolescenti, ad agire aggressivamente verso gli
altri e talora verso se stessi. Privo di anticorpi per superare le inevitabili
frustrazioni, di coraggio per rischiare, di forza d'animo per ricominciare, il
ragazzo non sa come affrontare una competizione che, come tutte le gare,
prevede molti partecipanti e pochi vincenti. Se le aspettative familiari
superano le sue capacità, se sente di non farcela, viene travolto da un senso
di inadeguatezza, da una perdita di autostima che può indurlo a imboccare due strade
diverse, ma entrambe pericolose. L'una, quella scelta dagli inattivi, lo
conduce a gettare la spugna, a farsi da parte rinunciando sia a studiare sia a
lavorare. È la generazione "né-né", cui appartiene più del 20% dei
giovani tra i 14 e i 24 anni. L'altra, quella imboccata dal bullo, lo induce ad
aggredire gli altri, ai quali attribuisce le parti negative di sé, ciò che non
vorrebbe essere, ma anche ciò che non può essere, come quando perseguita per
invidia il primo della classe, il più fortunato, il più bello. Talvolta provoca
solo per trovare il pretesto di reagire. Il bullismo è uno dei frutti velenosi,
esasperati da una comunicazione contraddittoria, che in questi anni l'adulto
invia ai giovani: come individuo devi batterti per realizzare le tue aspirazioni,
per avere successo. Ma non ho alcuna fiducia nel futuro che ti attende e nelle
risorse della generazione alla quale appartieni. Ma un agonismo
individualistico, narcisistico, può cogliere solo vittorie contingenti e
caduche. I veri atleti, come hanno mostrato le recenti Olimpiadi, s'impegnano
allo spasmo non soltanto per sé, ma per la squadra, la città, la nazione, il
continente cui appartengono. Dalla crisi che stiamo attraversando si esce non
uno contro l'altro, ma tutti insieme. La prima mossa per superare il bullismo è
far pace con se stessi, accettare i propri limiti, incrementare le proprie
risorse, senza «desiderare il male altrui», come Aristotele definisce
l'invidia.
IL BULLISMO DIFFUSO
È su questo sfondo epocale che si
proietta il bullismo adolescenziale, sintomo delle difficoltà di convivenza in
cui ci dibattiamo. Poiché, nella nostra società, il valore più immediatamente
riconoscibile è la prestanza fisica, sono presi di mira soprattutto i compagni
con evidenti inestetismi come il sovrappeso, i foruncoli, la pancetta, la
statura troppo alta o troppo bassa. Oppure quelli che non corrispondono al look
dominante, col risultato di omologare ragazzi e ragazze in un unico modello. Le
scarpe, la felpa e i jeans diventano una prova di appartenenza: se vesti come
me, sei come me, altrimenti ti considero un estraneo minaccioso e inquietante.
Comportamenti di bullismo ben più gravi si possono poi riconoscere nell'emarginazione
dei compagni di scuola considerati diversi perché portatori di handicap, oppure
di provenienza extracomunitaria o che si dimostrano appartenenti a un ceto
inferiore ma anche relativamente superiore. II figlio della professoressa o del
preside non è ben visto dai compagni che lo ritengono un privilegiato. Tuttavia
convincere i ragazzi a tollerare le differenze non basta; occorre formarli, non
solo ad accettare, ma a valorizzare le diversità, considerandole occasioni di
arricchimento personale e collettivo. L'estraneo, il forestiero, appare molto
più minaccioso di chi ci è prossimo e, come tale, diventa il ricettore delle
nostre paure. È stato provato che esiste una correlazione diretta tra conoscere
l'altro e apprezzarlo. Se, oltre allo scambio d'informazioni storiche,
geografiche e culturali, sempre un po' astratte, si aggiunge l'esperienza
concreta di cibi, vesti, ornamenti e giochi, la diffidenza nei confronti del
coetaneo che viene da lontano lascia man mano il posto all'amicizia. Il compagno
extracomunitario, differente per certi aspetti, uguale per altri, se ha molto
da imparare, ha anche molto da insegnare. Dobbiamo però riconoscere che, in una
società individualistica e competitiva, è difficile coniugare eguaglianza e
differenza e che la giustizia, considerata un valore fondamentale tanto dal
Cristianesimo quanto dalla cultura laica di matrice illuminista, è ben lungi
dall'essere realizzata. Troppo spesso il pregiudizio che afferma la superiorità
della civiltà occidentale, radicato nella cultura della Grecia classica, alle
origini della nostra stessa civiltà, funziona in modo inconsapevole e acritico.
L'ansia diffusa incrementa l'ostilità e ostacola la realizzazione di una
convivenza equa e solidale tra differenti tradizioni. Eppure, in una società
multiculturale, costruire ponti per incontrarsi a metà strada è l'unico modo
per evitare la contrapposizione frontale che trasforma l'aggressività in
violenza. Ancor più subdola risulta la paura del diverso e la tentazione di
emarginarlo, quando si rivolgono al coetaneo portatore di handicap, uno
svantaggio evidente, che l'adolescente cerca di esorcizzare respingendolo e
isolandolo, come temesse di esserne contagiato. In realtà, una cultura della
solidarietà risulta liberatoria per tutti perché aiuta a sconfiggere il timore
di essere noi stessi fragili e vulnerabili. Gli atteggiamenti da bullo, più
frequenti tra gli studenti delle scuole superiori, tendono a diminuire con
l'età, man mano che si definisce la propria identità. Ma per gli adolescenti la
tentazione di comportarsi da bulli è forte, sollecitata dal primo compito
evolutivo che devono svolgere: riconoscersi e presentarsi agli altri come
maschio o come femmina, definizioni esasperate dalla competizione per la
seduzione. A quell'età tutti i ragazzi vogliono la più bella, tutte le ragazze
il più popolare. Ma tra i poli maschile e femminile, semplici riferimenti,
esiste tutta una serie di posizioni intermedie. Nel frattempo il bullismo
antifemminile (che trova un esito estremo nel femminicidio) e quello omofobico
stanno diventando sempre più diffusi e inquietanti, soprattutto se esercitati
dal gruppo. L'aggressività, sequestrata al singolo e gestita collettivamente,
scatena un senso di onnipotenza che ottunde la coscienza e la responsabilità
personale Il cyberbullismo Premesso che il bullismo è sempre esistito, la causa
che lo ha diffuso e potenziato va attribuita alla diffusione dei mezzi di
comunicazione informatici. Ultimamente, proprio all'inizio dell'adolescenza, i
ragazzi fruiscono di mezzi di comunicazione capaci di trasformare il bullismo
diretto, dove il bullo ci mette la faccia e il nome, in una forma di
persecuzione molto più subdola e potente: quella che si attua tramite le nuove
tecnologie informatiche. Usando Twitter, Facebook e Instagram, i bulletti
possono divulgare immagini compromettenti, correlate di ingiurie e insinuazioni
in modo tendenzialmente illimitato. Per comprendere l'incidenza di questo
fenomeno, dobbiamo considerare che quella attuale è la prima generazione di
adolescenti cresciuta in una società in cui l'essere connessi rappresenta un
dato di fatto, un'esperienza quotidiana. In questo senso è interessante lo
svolgimento dell'intervista (pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 14
agosto 2016) a Carolina B., ora diciassettenne, vittima di cyberbullismo nel
2013, quando aveva 14 anni. La persecuzione è iniziata, in modo del tutto
casuale, nel momento in cui Carolina, durante un incontro organizzato dalla
parrocchia, è salita sul palco per testimoniare la sua fede. Il video, girato
furtivamente da un compagno e diffuso su Internet, suscita una campagna
denigratoria violenta e prolungata che destabilizza la vittima. Anonimi
commentatori, accusandola di essere «grassa, piena di brufoli, una sfigata, un
cesso, una troia», l'incentivano a suicidarsi e lei ci prova, per fortuna senza
riuscirci, buttandosi da un ponte. Si sente in colpa e non sa come punirsi
finché trova in Rete, di cui è diventata dipendente, suggerimenti su come
tagliuzzarsi le braccia con lamette e coltelli, coprendo poi le ferite con
abiti larghi e neri a maniche lunghe. Nei confronti dei genitori diventa
ribelle, va male a scuola, fuma qualche spinello, soffre di attacchi di panico.
La mamma cerca di comprenderla, di starle vicina, di tranquillizzarla, ma non
riesce a risalire alla causa della sua sofferenza, finché un valido agente della
Polizia Postale, preparato ed esperto nell'arte di comunicare con i ragazzi,
stabilisce con lei un dialogo aperto e costruttivo. Solo allora Carolina
ritrova la stima di sé e la fiducia nei genitori e così commenta l'esito della
vicenda: «Sono sopravvissuta a una guerra, ma ora ho acquistato più sicurezza,
adesso mi voglio bene. Non provo odio, ho capito che i bulli sono vittime anche
loro, e per curare le vittime bisogna curare anche i bulli».
PAPA FRANCESCO VICINO ALLE VITTIME DEL BULLISMO
Che Papa Francesco ci abbia
abituato, sin da subito, alle sorprese e alle sue apparizioni in pubblico è un
dato di fatto. Ma che riesca ad emozionare gli adolescenti, e parlare di
bullismo e cyberbullismo, sembra una magia. “Sii coraggiosa”, sono queste le
parole di Papa Bergoglio pronunciate in videoconferenza rivolte a Valerie
Herrera la studentessa, 17enne, di una scuola gesuita americana, affetta da
vitiligine, la malattia epidermica autoimmune, e per questo vittima di
bullismo. [guarda il video sotto] https://www.youtube.com/watch?time_continue=82&v=S4fi8mkKLyw
E Papa Francesco ha sorpreso
anche quando ha chiamato i genitori di Vincenzo, il bambino vittima di bullismo
perché ritenuto troppo grasso, il 7 ottobre 2014, in un autolavaggio del
quartiere Pianura di Napoli, seviziato con un il tubo di un compressore che gli
ha lacerato l’intestino. L’aspetto fisico insieme all’orientamento sessuale
sono dunque una delle prime cause di bullismo e cyberbullismo tra gli
adolescenti. E Papa Francesco è dalla parte delle vittime, tanto da dedicare
una parte all’interno della Lettera Enciclica Laudato Sì del Santo Padre
Francesco sulla Cura della Casa Comune inducendo alla responsabilità e
all’utilizzo critico dei nuovi media. Durante la visita alla città di Milano,
nello stadio di San Siro, Papa Francesco ha toccato il tema del fenomeno del
bullismo. Agli 80.000 convenuti il Pontefice ha rivolto un forte appello ad
arginare questo problema. Le parole del Pontefice rivolte sopratutto ai tanti
ragazzi presenti: 'Nella vostra scuola c'è qualcuno di cui vi fate beffa, che
prendete in giro perché basso o grasso; vi piace farlo vergognarlo oppure
picchiarlo? Questo si chiama bullismo. Per favore fate una promessa: non fatelo
mai più e non permettete a nessuno di farlo nella vostra scuola'. La risposta è
stato un si corale che ha fatto tremare le gradinate dello stadio https://www.youtube.com/watch?v=i1mTHiog4Ng
Conosciamo persone vittime di bullismo o altra forma di
discriminazione?
Come possiamo dimostrare la nostra vicinanza e la nostra attenzione anche
come gruppo?
L’ACCOGLIENZA NELLA SACRA SCRITTURA
Anche nel mondo biblico ci
troviamo di fronte a culture che spesso tra loro si respingono e che pongono
gravi problemi di tipo sociale. Il principio da cui partire e la meta da
raggiungere rimangono, comunque e sempre, non l’esclusione e il rigetto, ma lo
spirito di accoglienza. Nella Scrittura anche lo straniero ha diritto al
rispetto, alla tutela, all’amore. In Lv 19,33-34, in un’opera che parla dei
principi di purità, si legge: «Quando un forestiero dimorerà presso di voi, nel
vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo
tratterete come colui che è nato fra di voi. Tu l’amerai come te stesso, perché
anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto». In questi due versetti è
profondamente sottolineato il fatto che occorre amare lo straniero come se
stessi, perché anche Israele ha provato cosa vuol dire essere straniero. Certo,
qui si distingue tra il forestiero che è residente rispetto agli stranieri di
tutto il mondo, però si osserva che la persona pur «diversa» che abita nella
tua stessa via deve aver assicurata la stessa legge, lo stesso trattamento e la
stessa tutela e persino l’amore. Le citazioni sono numerose nell’A.T. e
riguardano lo straniero, la vedova, il povero… tutti coloro che potevano essere
vittime di esclusione sociale. Dio è il Padre di tutti indistintamente e chi si
affida a Lui non può non vivere del suo stesso amore verso tutti.
CITAZIONI PER RIFLETTERE
L’emarginazione ti sottrae al
potere e quindi al fango. Ti avvicina al punto di vista di Dio. (Fabrizio de
Andrè) Gli emarginati, nel cavo delle loro mani aperte, tengono Dio come un
passero pieno di sole, ma gli uomini sono troppo occupati nel loro egoismo per
accorgersene. (Fabrizio Caramagna) Esiste una povertà ben più grande: non
essere amato, desiderato, sentirsi escluso ed emarginato. (Madre Teresa di
Calcutta) Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri
allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da
un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli
altri i miei stranieri. (Don Lorenzo Milani) Tutti sono eguali dinanzi alla
legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da
parte della legge. (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Articolo 7,
1948)
Rublëv seppe rappresentare la
sintesi del più grande mistero della nostra fede, rivelandoci l’unità e al
tempo stesso la distinzione delle persone divine. In questa icona il cerchio
(eternità, perfezione) si impone come motivo dominante di tutta la
composizione. Nel cerchio stanno perfettamente le tre figure angeliche che
stanno ad indicare l’amore perfetto, senza inizio e senza fine. Il triangolo,
la cui base è il lato superiore del tavolo e il cui vertice posa nel capo
dell’angelo centrale, è la figura semplice che mi dice tre in uno, uno in tre.
Cerchio e triangolo non si vedono; proprio come Dio, che è presente eppure non
lo vediamo. Le forme quadrangolari sono invece ben definite, (pedane, tavolo,
sgabelli), visibili come il creato e la terra che esse rappresentano. A questo
ritmo di composizione si uniscono colori di un’armonia incomparabile. Essi sono
usati eloquentemente per esprimere dei simboli: - il rosa-oro richiama il manto
imperiale, - il verde indica la vita, - il rosso l’amore sacrificato. -
Speciale significato ha il blu che indica la divinità e le verità eterne. E’
distribuito a tutti e tre gli angeli: l’angelo di sinistra nel quale
riconosciamo il Padre, porta la tunica di colore blu, ma essa è quasi
totalmente coperta dal manto regale (invisibilità-ineffabilità). Dio nessuno
l’ha mai visto, per questo l’angelo centrale, nel quale riconosciamo Dio
Figlio, porta il manto blu: “il Figlio l’ha rivelato”, solo nel Figlio si fa
visibile. “Chi vede Me ,vede il Padre” Il Figlio è uomo (tunica rosso sangue);
ha ricevuto ogni potere dal Padre (stola dorata, sacerdozio regale di Cristo).
Anche l’angelo di destra, nel quale riconosciamo Dio Spirito Santo, mostra la
tunica blu in abbondanza, perché il ruolo è di “far comprendere e ricordare la
Parola” (Giov.14,26). Il manto verde indica che lo Spirito Santo è Dio che “da’
la vita” e “rinnova la faccia della terra”. Il Padre siede con solennità sul
suo trono. Il suo sguardo, il gesto della sua mano destra sembrano esprimere un
comando breve e chiaro con semplicità, ma con autorità: tutto procede da Lui.
Egli chiama il Figlio indicandogli con mano benedicente la coppa al centro
(contenente l’agnello del sacrificio). Il Figlio comprende la Volontà del Padre
–farsi cibo e bevanda degli uomini- e l’accetta (china il capo e benedice la
coppa) “mio cibo è fare la Volontà del Padre” - chiedendo l’assistenza dello
Spirito Consolatore.
Questi accoglie (mano posata
delicatamente sul tavolo) la Volontà del Padre per il Figlio, e con il suo
piegarsi riporta la nostra attenzione al Figlio e al Padre: vuole metterci
obbedienti davanti a Gesù (“nessuno può dire “Gesù è Signore” se non per opera
dello Spirito Santo”) e abbandonati e fiduciosi davanti al Padre (“lo Spirito
grida nei nostri cuori: Abbà, Padre!”). C’è posto anche per me, in questo circolo
d’amore delle Tre Persone : davanti c’è lo spazio per me, perché io possa
partecipare al colloquio intimo e segreto, gioioso e impegnativo: è lo spazio
dei martiri (finestrella dell’altare), di chi offre la vita. Il mio posto ha la
forma di calice (lo spazio libero tra le pedane). Fuori dal cerchio vediamo: la
montagna (luogo del silenzio e delle manifestazioni di Dio), l’albero (quercia
di Mamre, l’albero della Croce, nuovo albero della vita), la casa (il Padre
accoglie ed ama tramite la Chiesa, che per essere edificata richiede il lavoro
dell’uomo, la collaborazione e l’armonia di più uomini). I bordi accennano ad
un ottagono: la creazione si riposa nella calma e pienezza dell’ottavo giorno,
giorno del Signore. “La carità è il progetto originario di Dio, della Trinità,
che consegna questo dono all’uomo, lo imprime nella sua identità, così che
questo amore diventa un apriori da cui partire per costruire tutte le
relazioni”. (Benedetto XVI)
Dio ci invita a entrare nel dinamismo della sua stessa relazione per
diventare anche noi costruttori di rapporti autentici.
Esprimiamo il nostro Sì a questo invito mettendo il nostro nome nello
spazio rimasto aperto dell’icona
(si possono attaccare i nomi
all’icona scrivendoli su dei post-it oppure davanti a un tavolo preparato nel
luogo dell’incontro).
FILM
Mean Creek Regia di Jacob Aaron
Estes, Usa, 2005. Il prepotente, Georgie, attacca in modo insensato un compagno
di scuola, il gracile Sam. Il fratello maggiore di Sam, Rocky, decide di fare
giustizia e con due amici escogita un piano per umiliare il bullo, ma, mentre
il disegno punitivo prende forma, emergono le fragilità di Georgie e lo sguardo
di Sam si apre alla compassione. Sam cerca, a questo punto, di fermare il
fratello, ma saranno le dinamiche di gruppo a decidere l’esito della vicenda.
DOMANDE PER LA DISCUSSIONE
Quali sono le ragioni dei protagonisti?
Perché prendono parte alla gita
in barca?
Come mai il vissuto del
protagonista nei riguardi di Georgie cambia radicalmente?
Cosa accade quando Sam chiede al fratello di
abortire il piano?
Come sono distribuite le
responsabilità dell’epilogo?
In generale, durante un maltrattamento qual è
la responsabilità degli astanti?
Quali possono essere gli
ingredienti per formare un gruppo coeso e accogliente?
PREGHIERA
Quanto è bello ed
arricchente che tutti stiano insieme, Signore.
Allarga il nostro
cuore all’accoglienza e al rispetto.
Guarisci il nostro
cuore perché non riversiamo su altri
le nostre paure e le
nostre insicurezze.
Illumina il nostro
sguardo perché sappiamo riconoscere
quanto di
sorprendente c’è in ciascuna esistenza.
Mostraci tu, Signore,
quanto è stupendo un mondo unito
nella diversità.
Mettici insieme,
Signore, tienici insieme, facci camminare insieme!
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