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I primi a celebrare la festa di san Giuseppe furono i monaci benedettini nel 1030, ma il culto religioso, rivolto al padre putativo di Gesù, nacque in Oriente durante l’Alto Medioevo, si diffuse in Occidente durante il Trecento, quando alcuni ordini religiosi cominciarono a commemorarlo il 19 marzo, giorno della morte del santo e indicato nelle Scritture come "uomo giusto".
Un tempo, per festeggiare il Santo, a Flumeri ma in tanti altri paesini limitrofi, si organizzavano i falò. Tale antica tradizione in Irpinia è quasi estinta e poco sentita, ma fino a qualche decennio fa prendeva forma tra canti, balli, vino e specialità gastronomiche locali legate alla tradizione popolare, rendendo unica e ricca di fascino l’atmosfera tra le strade “infuocate” dei diversi centri storici. Si tratta di un’usanza che voleva segnare il passaggio beneaugurante dall’inverno a una prospera primavera.
Ci sono radici profane?
Ebbene si. Il rito
del falò coniuga credenze religiose e
pagane e affonda le radici nella cultura rurale delle nostre comunità.
Gli antichi greci nel VI secolo a.C, grazie all’ausilio del filosofo Anassimene di Mileto, furono i primi ad introdurre la teoria dei quattro elementi.
Ad ogni modo, nella
cultura contadina, il fuoco segna un momento di passaggio nel ciclo dell’anno:
il transito dalle fredde giornate invernali alle tiepide e miti giornate
primaverili. In passato, la tradizione del falò di San Giuseppe costituiva
un’offerta a San Giuseppe che nella grotta di Betlemme bruciò il proprio
mantello e mendicò della legna di casa in casa. Questa consuetudine di
chiedere della legna, anni fa, era viva soprattutto nei giovani che,
impossibilitati nel procurare la legna, cercavano la materia prima bussando
alle porte dei propri concittadini. Quanti di voi ricordano, che da ragazzi già
qualche settimana prima del falò si adoperavano nell’accatastare la legna?
Nessuno di noi si sottraeva a questo “lavoro”
ed eravamo in competizione con quartieri e le zone del paese nel realizzare il
falò più grande. Noi.. la generazione delle “ginocchia sbucciate” non
erano stravaccati sui divani a chiattare, ma ci adoperavano con cariole o sacchi di iuta per le vie del paese in cerca
di famiglie disponibili e generose a
donare fascine e ciocchi di legno.
La sera del 18 marzo, la vigilia di san Giuseppe, il cielo di Flumeri e delle zone rurali, magicamente, si illuminavano di tanti scoppiettanti e scintillanti bagliori . Quando poi rimaneva la brace, si iniziava a preparare da mangiare , non mancavano mai “ r patan ‘ndà la cener”.
Tradizioni oramai andate nel dimenticatoio, anche quest’anno, a San Giuseppe ognuno sarà casa sua vicino alla TV, PC, cellulare…. le allegre comitive hanno lasciato spazio all’isolamento.
Approfondimento: nel 2020 è stati indetto => l' anno di san Giuseppe
F.A.
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