FINALITA’ EDUCATIVA
Interiorizzare che l’ amicizia è un bene prezioso che va custodito, conoscere gli atteggiamenti ci permettono di essere “custodi” gli uni degli altri.
Iniziamo il discorso dando delle risposte ad alcune domande:
• È automatico che un rapporto di amicizia sia duraturo?
• Cosa possiamo fare perché l’amicizia sia sempre più forte?
• Cosa significa secondo voi “custodire l’amico”?
PRENDERSI CURA DELL’AMICO
da una meditazione di suor Tiziana Tonini (Francescana Missionaria del Sacro Cuore) Isidoro di Siviglia( Cartagena, 560 è stato un teologo, scrittore e arcivescovo spagnolo, Dottore della Chiesa, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica) spiega che amico deriva dal latino amicus come una contrazione di «animi custos», e Aelredo di Rievaulx, (monaco anglo-sassone, 1147)riprendendo Isidoro, commenta: «Dico che l’amico è come un custode dell’amore, o, come ha detto qualcuno, ‘un custode dell’animo stesso’, poiché l’amico, come lo intendo io, deve essere il custode dell’amore vicendevole, o meglio del mio stesso animo: deve conservare in un silenzio fedele tutti i segreti del mio animo; curare e tollerare, secondo le sue forze, quanto vi trova di imperfetto; gioire quando l’amico gioisce, soffrire quando soffre; sentire come proprio tutto ciò che è dell’amico» (Amicizia spirituale 1,20). Essere custodi dei nostri fratelli è essere custodi dell’amore, custodi della presenza del Signore nell’altro, custodi dell’azione dello Spirito Santo nel mio fratello, nella mia sorella: è custodire “l’immagine del Figlio” nel quale tutti siamo amati e redenti. Nei versetti di: Es. 23,20 “Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato”…l’azione del custodire si connota come l’essere guida nel cammino con l’elemento del proteggere perché la persona possa raggiungere la sua meta. Custodire può identificarsi con il prendersi cura con tutte le sfumature e le “attenzioni” che questo comporta: circondare, allevare, prendere, sollevare. L’atteggiamento del “custodire'' implica un elemento fondamentale che sperimentiamo nella nostra umanità, cioè dare valore. Si custodisce ciò a cui si dà valore, ciò che è importante per noi. Più una persona o un oggetto è significativo, più sappiamo dare la nostra attenzione, la nostra cura. La riflessione sull’essere custodi o custodire ci chiede di verificare dentro di noi, nelle nostre scelte, nei nostri desideri e nelle nostre azioni concrete, quali sono le persone o le cose veramente importanti per noi!! A cosa e a Chi diamo la priorità? A volte forse non sappiamo ri-conoscere il valore e quindi non riusciamo ad apprezzare e di conseguenza neanche a custodire. Pensiamo semplicemente a un diamante. Se io ne conoscessi il valore, saprei anche custodire o apprezzare l’oggetto, ma se non sono in grado di riconoscerne il valore, potrei persino pensare che è un semplice pezzo di vetro e non dare nessuna attenzione. Se, con tanta verità, guardiamo alla nostra società, quali sono le “cose”, i valori importanti…? Papa Benedetto XVI per la quaresima 2012 ci invitava a riconoscere e a riflettere su due valori fondamentali e insostituibili per l’essere umano: il valore della vita, della persona e il valore delle relazioni. Il suo invito è a “fare attenzione” ''a fissare lo sguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli. Spesso, invece, prevale l’atteggiamento contrario: l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto per la «sfera privata». Anche oggi risuona con forza la voce del Signore che chiama ognuno di noi a prendersi cura dell'altro. Anche oggi Dio ci chiede di essere «custodi» dei nostri fratelli (cfr Gen 4,9), di instaurare relazioni caratterizzate da premura reciproca, da attenzione al bene dell'altro e a tutto il suo bene. Il grande comandamento dell'amore del prossimo esige e sollecita la consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio: l’essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell'altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità, la solidarietà, la giustizia, così come la misericordia e la compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore. L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è «buono e fa il bene» (Sal 119,68). Il bene è ciò che suscita, protegge e promuove la vita, la fraternità e la comunione. La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare il bene dell'altro, desiderando che anch'egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire aprire gli occhi sulle sue necessità. La Sacra Scrittura mette in guardia dal pericolo di avere il cuore indurito da una sorta di «anestesia spirituale» che rende ciechi alle sofferenze altrui. Che cosa impedisce questo sguardo umano e amorevole verso il fratello? Sono spesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma è anche l’anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni. Mai dobbiamo essere incapaci di «avere misericordia» verso chi soffre; mai il nostro cuore deve essere talmente assorbito dalle nostre cose e dai nostri problemi da risultare sordo al grido del povero. Proprio l’umiltà di cuore e l'esperienza personale della sofferenza possono rivelarsi fonte di risveglio interiore alla compassione e all'empatia: «Il giusto riconosce il diritto dei miseri, il malvagio invece non intende ragione» (Pr 29,7). Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia, vivono in una comunione che li lega gli uni agli altri come membra di un solo corpo. Ciò significa che l'altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza. Tocchiamo qui un elemento molto profondo della comunione: la nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, si verifica tale reciprocità: la comunità non cessa di fare penitenza e di invocare perdono per i peccati dei suoi figli, ma si rallegra anche di continuo e con giubilo per le testimonianze di virtù e di carità che in essa si dispiegano.'' Le parole di Papa Benedetto ci spingono a domandarci:''Dove, su chi o su che cosa fissiamo lo sguardo, doniamo la nostra attenzione, tutta la nostra cura? Quali sono le nostre priorità? Le relazioni hanno ancora valore? E se lo hanno, come mai non vengono più custodite?'' Essere custodi ci richiede anzitutto uno sguardo che sappia vedere la realtà, le persone, con gli OCCHI di DIO, con il Suo sguardo d’amore, di misericordia. Saper custodire è quindi assumere atteggiamenti e fare scelte che non ci fanno perdere i valori più importanti della nostra vita. E’ il custodire la nostra fede cioè trasformarla in dono di noi stessi a chi ci è vicino, a chi “vedo”, a chi il Signore mi fa incontrare. Come dice Papa Benedetto dobbiamo sentire la responsabilità del fratello, “essere custodi dei nostri fratelli” (Genesi 4,9), la risposta di Caino: “Sono forse io il custode di mio fratello?” a Dio-Padre Creatore che gli chiedeva: “Dov’è tuo fratello?”, è una provocazione che ancora oggi risuona e dovrebbe toccare ogni creatura umana nelle profondità. La domanda di Dio-Padre ci scuote non solo chiedendoci di verificare le relazioni con i nostri fratelli e le nostre sorelle, ma “tocca” in profondità il nostro rapporto con Dio, la nostra preghiera.
Il piccolo principe e la rosa
di Antoine de Saint-Exupéry Poi la volpe aggiunse: «Va’ a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto». Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose. «Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente», disse. «Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico e ora è per me unica al mondo.» E le rose erano a disagio. «Voi siete belle, ma siete vuote», disse ancora. «Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa.» E ritornò dalla volpe. «Addio», disse. «Addio», disse la volpe. «Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.» «L’essenziale è invisibile agli occhi», ripeté il piccolo principe, per ricordarselo. «È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.» «È il tempo che ho perduto per la mia rosa…», sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
I CUSTODI DI DAVIDE
Riprendiamo l’episodio di Davide e Gionata nei capitoli 19 e 20 di 1Sam (v. commento scheda 6). L’amicizia di Gionata si manifesta in modo forte quando si tratta di salvare la vita di Davide dal pericolo di morte nei confronti di Saul. Gionata si prodiga in ogni modo per far cambiare idea al padre ma anche per difendere e allontanare Davide dal pericolo. Oltre a Gionata, in questi episodi, compaiono anche Mical, moglie di Saul, e Samuele, profeta. Entrambi dimostrano di prendersi cura dell’amico Davide per proteggere la sua vita. Gli amici non abbandonano nel momento del maggiore bisogno e non temono di mettere in pericolo la loro stessa vita pur di aiutarlo. Diventano fantasiosi per proteggerlo e si pongono loro stessi come “scudi” per salvaguardare la sua incolumità.
PROPOSTA DI ATTIVITÀ : “È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa….”Assegnare ad ogni componente del gruppo un/una compagno/a “amico/a”
scelto/a casualmente per verificare quanto sia consistente il tempo per la relazione di amicizia.
Sottoporre le coppie al medesimo questionario che deve essere compilato
personalmente e separatamente e poi confrontato insieme.
Le domande possono essere:
• Quanto tempo dedichi a lui/lei per chiacchierare/chattare?
• Quanto tempo trascorri con lui/lei per fare i compiti?
• Quanto tempo gli/le dedichi per fare insieme una passeggiata, shopping, sport...?
• Quanto tempo vorresti per stare con lui/lei?....
SULL’AMICIZIA DI EDITH STEIN
“Finché vivo sentimenti d’amicizia verso qualcuno, senza che l’altro ne sia consapevole e li contraccambi, non esiste ancora amicizia tra noi. Solo quando due esseri umani hanno reciprocamente espresso i loro sentimenti, solo quando ciascuno conosce quelli dell’altro e li contraccambia, esiste un rapporto di amicizia. Le persone che sono in questo rapporto, sono amiche. Tale rapporto fa parte, ora, del loro essere personale, contribuisce a determinare la loro vita.”. Per E. Stein il tema del rapporto con gli altri è sempre stato centrale nelle sue trattazioni; fin dal suo giovanile lavoro su Il problema dell’empatia ha puntato l’attenzione sulla capacità dell’essere umano di entrare in relazione con il suo simile, di captarne il vissuto interiore per stabilire un legame comunitario arricchente. L’altro/a, visto/a come persona amata, è colui/colei che rende partecipe veramente l’amico alla propria vita, gli si rivolge non per “dovere” ma per bisogno, considera il coinvolgimento della persona cara nelle “faccende personali” come atto di unione e non di “violazione della propria libertà”: “L’amore naturale tende ad avere per sé la persona amata e a possederla nella maniera più indivisa possibile”. E’ pur vero, dice E. Stein, che “spesso – anzi prima o poi sempre”, il desiderio di conquistare e conservare per sé l’amico amato conduce alla sua perdita; ma chi ama con lo stesso amore con cui ama Cristo, desidera l’altro per Dio e non per se stesso: “questa è naturalmente nello stesso tempo la via più sicura per possederlo eternamente”. Chi dona il proprio amico lo guadagna e “la vita può non essere completamente insopportabile se si sa che c’è una persona per la quale questa vita è più cara che la propria”.
Prendersi cura dell’amico significa “amarlo non per se stessi”
fino al punto di saperlo anche “donare” per il suo vero bene.
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Ti è mai capitata una situazione del genere?
La canzone dell’amicizia di Flavio Secchi
https://www.youtube.com/watch?v=6_4606a-dNU
La cura di Franco Battiato
https://www.youtube.com/watch?v=ziZOjeGQfho
PREGHIERA
Donami, Signore,
di capire quando l'amico che mi è vicino soffre
e ha bisogno di me;
insegnami a sacrificarmi volentieri per il mio amico.
Aiutami a comprendere che grande è la mia responsabilità
nei suoi confronti.
E quando lui sarà stanco e triste,
fa’ che io non lasci mai la sua mano;
fa’ che comprenda che anche la notte più buia
non fa paura se stiamo insieme, uniti a Te.
Non saremo mai
soli con Te al nostro fianco.
Amen
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