Si propone una riflessione sul breve sermone, dalla densità tematica e la nobiltà stilistica, di Lorenzo Valla umanista del quattrocento e il riformista Lutero.
Al centro della predica c’è un suggestivo parallelo tra eucaristia e incarnazione, anche Valla confessa di non saper optare tra le due definizioni: è il pane che si trasforma in Dio o è Dio a trasformarsi in pane.
Lorenzo Valla non adotta mai il termine «transustanziazione», sulla cui modalità si era
impegnata la riflessione medievale. Il citato parallelismo con l’incarnazione
di Cristo sembrerebbe, a prima vista, incrinato dalla ripetibilità
dell’eucaristia che è ininterrottamente celebrata, mentre
l’ingresso del Figlio di Dio nella carne è eph’ hapax, «una
volta per sempre», come san Paolo afferma nella Lettera agli Ebrei.
Il teologo, esalta l’intima comunione tra l’uomo e il suo Dio attraverso il segno del pane e del vino. È l’anticipazione di quella divinizzazione finale che la creatura umana vivrà nell’escatologia: «L’uomo, nutrito di pane, fatto di fango, sale sopra i cieli ed è reso Dio!»
Nei suoi Discorsi
a tavola, Lutero afferma che , nessun altro italiano, come
Valla, seppe dare frutti preziosi quanto
lui. A tele proposito confrontiamo
la predica del cattolico Valla la “ Confessione sulla cena di Cristo “ di Martin Lutero, composta nel 1528
Antonio Sabetta, mostrando
quanto il sacramento dell’altare sia stato considerato da Lutero non solo «il nostro più grande tesoro» (così in un suo sermone
del 1522), ma anche un dato da approfondire a livello esegetico-teologico e da
tutelare vigorosamente contro le deviazioni dottrinali.
Invece Zwingli, il noto
riformatore svizzero, sosteneva un’interpretazione allegorica e
meramente simbolica delle parole di Cristo nell’ultima cena,
sostituendo al «Questo è il mio corpo» pronunciato sul pane, un «Questo
significa il mio corpo».
Si
dava, così, la stura a un’ermeneutica votata all’esclusione di una presenza
«sacramentale», reale ed efficace, per una concezione figurata, attuata nella
comunità ecclesiale, radunata attorno alla Parola divina.
Per sostenere la sua tesi, Lutero procede a
una disamina puntigliosa dei passi neotestamentari che descrivono la cena del
Signore, quelli dei tre Sinottici e
di Paolo nel c. 11 della Prima Lettera ai Corinzi.
In sintesi, possiamo dire che sull’eucaristia Lutero è sostanzialmente «cattolico». Come egli dichiara a suggello della seconda sezione della sua opera, il pane eucaristico «non è più il semplice pane che si cuoce nel forno, ma “pane-carne” o “pane-corpo”, cioè un pane che è diventato un’unica realtà sacramentale e una sola cosa con il corpo di Cristo. Lo stesso dicasi per il vino nel calice: non è più semplice vino nella cantina, ma “vino-sangue”, cioè un vino che è divenuto con il sangue di Cristo una sola realtà sacramentale». Questa edizione italiana è conclusa da una ricca postfazione del teologo Giuseppe Lorizio sulla «teologia e spiritualità eucaristica in Martin Lutero». Essa si apre con un’evocazione dei due affreschi stupendi di Raffaello a soggetto eucaristico nella Stanza della Segnatura e nella Stanza di Eliodoro in Vaticano.
Un’evocazione suggestiva che meriterebbe un’analisi specifica
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