Mercoledì 22
aprile segna il 50esimo anniversario della Giornata Mondiale della Terra.
Il tema di quest’anno e’ azione per il clima.
A tale proposito risulta interessante
l’ enciclica di Papa Francesco.
“Nella bellezza Dio si rivela all’uomo.
Una città che sa convivere con la creazione.”
Antonio Sasso Università di Napoli "Federico II"
Niente di questo mondo ci risulta indifferente:
l'ecologia integrale alla luce della Laudato si
[… [ mi vengono alla mente almeno due personaggi che hanno combattuto l'indifferenza con la loro vita. Lo hanno fatto con punti di vista diversi ma accomunati dalla passione di non lasciarsi trascinare passivamente dalla storia ma di tentare di cambiarne il suo corso, in meglio.
Il primo è Antonio Gramsci che nel suo libricino "Io odio gli indifferenti" scriveva:
Credo, come Federico Hebbel, che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. ….”
L'altra persona, con stile e credo diverso, è don Lorenzo Milani che sulle mura della sua "scuola" di Barbiana faceva dipingere dai suoi ragazzi la scritta "I care" che è l'esatto opposto del motto fascista "me ne frego".
Ancora oggi, per fortuna, l’umanità pullula di uomini e donne, magari meno noti, che nel loro piccolo, quotidianamente, fuggono dall’indifferenza e si impegnano per curarsi dei più deboli, degli sfruttati, delle piaghe del pianeta, etc.
Papa Francesco rappresenta forse il primo Papa che si “sporca” le mani parlando in modo inequivocabile dei grandi mali dell’umanità, coniando un termine, l’ecologia integrale, che sintetizza l’abbraccio più intimo tra l’uomo con la casa che lo ospita, la Terra. Nel quadro della bellezza del creato, il Papa coglie i disastri che l’uomo moderno perpetua nei confronti dei suoi fratelli e dell’eco-sistema.
Risulta persino difficile commentare o interpretare l’enciclica “Laudato si” tanto è chiaro il linguaggio che Papa Francesco usa, attirandosi per questo critiche ingenerose di esser un Papa troppo “laico”. Le sue parole trovano ascolto tra i laici quanto tra i credenti e, per questo, non è esagerato dire che la Laudato si è rivoluzionaria.
Ma come tutte le idee rivoluzionarie esse debbono camminare sulle gambe di tutti gli uomini, dai potenti della terra fino al singolo cittadino. E’ una sfida molto difficile ma obbligatoria se vogliamo che l’umanità possa progredire con un modello di sviluppo integrale, rispettoso cioè della giustizia e della salvaguardia del creato.
Purtroppo, molti “grandi” della terra oggi sembrano addirittura negare ciò che con prepotenza si proietta ai nostri occhi: cambiamenti climatici dagli esiti imprevedibili e una sperequazione sempre più profonda tra ricchi sempre più tali e gli “scarti” dell’umanità, fastidio ingombrante da rimuovere.
In questo incontro ci soffermeremo su alcuni degli aspetti della “Laudato si”: fonti di energia, riscaldamento globale, produzione e smaltimento dei rifiuti. Cercheremo di cogliere, in un momento di grandi trasformazioni e contraddizioni, quegli elementi che alimentano le nostre speranze di cambiamento.
La lettera enciclica Laudato si’ di papa Francesco sulla cura della casa comune presenta alcune caratteristiche che balzano immediate agli occhi del lettore “laico”. Ne sottolinea alcune.
1. La prima, a mio avviso, consiste nell’intento dichiaratamente rivoluzionario impresso alla lettera: “Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli” (53). “Ciò che sta accadendo ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale” (114). “Ogni aspirazione a curare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società” (5). All’intento si aggiunge la fiducia nell’esito rivoluzionario dell’operazione: “Spero che questa Lettera enciclica, che si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta” (15).
Quando parlo di “operazione” intendo la modalità con cui tutta la scrittura e il lancio dell’enciclica sono state attentamente condotte. Si pensi all’idea geniale di far firmare a Carlo Petrini una “guida alla lettura” per l’edizione italiana e a Leonardo Boff un’analoga guida per l’edizione brasiliana.
2. La seconda caratteristica che balza agli occhi è la concezione unitaria e interconnessa che papa Francesco ha dell’universo e dell’umanità. “Tutto è in relazione… La cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri” (70). “Ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua” (84). “Tutto è collegato. Per questo si richiede una preoccupazione per l’ambiente unita al sincero amore per gli esseri umani e un costante impegno riguardo ai problemi della società” (91). “Bisogna rafforzare la consapevolezza che siamo una sola famiglia umana. Non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci, e per ciò stesso non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione dell’indifferenza” (52).
La stessa interconnessione che Francesco scorge nell’universo, egli imprime anche alla struttura e allo stile della sua lettera enciclica: “Ogni capitolo, sebbene abbia una sua tematica propria e una metodologia specifica, riprende a sua volta, da una nuova prospettiva, questioni importanti affrontate nei capitoli precedenti. Questo riguarda specialmente alcuni assi portanti che attraversano tutta l’Enciclica. Per esempio: l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita. Questi temi non vengono mai chiusi o abbandonati, ma anzi costantemente ripresi e arricchiti” (16).
Tutto ciò porterebbe al panteismo, se prima del creato e sopra il creato non ci fosse un creatore e trascendente. Nel libro VI, il più bello dell’ Eneide, così Virgilio sintetizza magistralmente il panteismo: “In principio uno spirito e cielo e terre e spianate d’acqua – e lo splendente globo della luna e l’astro figlio del Titano - vivifica di dentro; e, infuso per le membra, esso spirito - seminale anima tutta la massa fondendosi nel grande corpo”. Ma per papa Francesco “il modo
migliore per collocare l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi”(75). “L’universo non è sorto come risultato di un’onnipotenza arbitraria, di una dimostrazione di forza o di un desiderio di autoaffermazione. La creazione appartiene all’ordine dell’amore” (77). “Tutto è carezza di Dio” (84). “L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversità e disuguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a se stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio le une delle altre” (86). “Essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile… Possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione” (89).
3. In un mondo dove gli 85 personaggi più ricchi accumulano la ricchezza di tre miliardi e mezzo di poveri, ovviamente un papa, per di più argentino e di nome Francesco, non poteva non mettere i poveri e gli esclusi al centro della sua lettera enciclica: “Il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta… Gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera” (84). “Il riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni. A questo si uniscono i danni causati dall’esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale: «Constatiamo che spesso le imprese che operano così sono multinazionali, che fanno qui quello che non è loro permesso nei Paesi sviluppati o del cosiddetto primo mondo. Generalmente, quando cessano le loro attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come la disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può più sostenere»“ (51). “Spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi… sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, al momento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto. Questo si deve in parte al fatto che tanti professionisti, opinionisti, mezzi di comunicazione e centri di potere sono ubicati lontani da loro, in aree urbane isolate, senza contatto diretto con i loro problemi. Vivono e riflettono a partire dalla comodità di uno sviluppo e di una qualità di vita che non sono alla portata della maggior parte della popolazione mondiale” (49).
4. Ma l’aspetto che stupisce maggiormente il lettore laico è la capacità di ascolto che, attraverso la sua enciclica, papa Francesco dimostra nei confronti delle acquisizioni scientifiche che sull’ecologia provengono da scienziati laici e dalle lotte che i movimenti ecologici vanno combattendo da decenni: “Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo” (13). “Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale” (14).
Molti contenuti dell’enciclica di papa Francesco vengono dal pensiero laico che il papa argentino ha introiettato con francescana umiltà. Mi piace ricordare in questa sede due scuole di pensiero: in Francia, quella che esplora la necessità di una decrescita equilibrata; in Italia, quella che rivendica il primato della lentezza sulla velocità, della qualità sulla quantità, del locale sul globale.
La “scuola” francese, che fa capo a Serge Latouche e affonda le sue radici nel pensiero di studiosi come Ivan Illich, André Gorz, Nicholas Georgescu-Roegen, Jacques Grinevald o Paul Ariès, adotta un'ottica politica e planetaria partendo dal presupposto che occorre modificare radicalmente i nostri stili di vita se si vuole evitare che l’attuale sistema precipiti nell’esito catastrofico che esso stesso ha già predisposto. Secondo questo movimento è pura follia comportarsi come se le risorse del pianeta fossero infinite e lo spreco economico potesse continuare in eterno. Kennet Building dice senza mezzi termini che “chi crede possibile la crescita infinita in un mondo finito, o è un pazzo o è un economista”. Serge Latouche chiosa: “Il dramma è che ormai siamo tutti più o meno economisti”. E poi aggiunge: “Dove stiamo andando? Dritti contro un muro. Siamo a bordo di un bolide senza pilota, senza marcia indietro e senza freni, che sta andando a fracassarsi contro i limiti del pianeta”.
Dunque non si tratta più – dice Latouche – di rallentare la crescita, di renderla sostenibile, come se il limite non fosse stato già ampiamente superato. Si tratta di fare una rapida retromarcia per ridurre i danni di una catastrofe ormai inevitabile, provocata da “un sistema economico fondato sulla credenza secondo cui la crescita è normale, necessaria e può durare indefinitamente” come dice ancora Heinberg.
Quando l’enciclica di papa Francesco dice: “Già si sono superati certi limiti massimi di sfruttamento del pianeta, senza che sia stato risolto il problema della povertà” (27), questa affermazione coincide con il pensiero dei teorici della decrescita secondo cui qualunque sviluppo, per il fatto stesso di essere sviluppo, comporta ulteriore consumo di risorse limitate e quindi prosegue in una direzione comunque sbagliata perché irreversibilmente distruttiva. Ma l’accordo finisce qui perché papa Francesco parla più volte e propone l’idea di uno sviluppo sostenibile attraverso una ecologia integrale mentre, per questi scienziati, l’idea di “sviluppo sostenibile” è un ossimoro e un inganno perché non esiste uno sviluppo buono e uno cattivo: lo sviluppo è dannoso comunque, proprio in quanto sviluppo: “Sviluppo come crescita è una parola tossica quale che sia l’aggettivo che gli si vuole accoppiare” dice Latouche. Una parola che tende a nascondere gli interessi di un capitalismo rifondato, solo apparentemente etico e responsabile, drogato con gli ormoni dell’eco-business, “dietro l’illusione di un interesse generale, paralizzando in questo modo la resistenza delle vittime”.
Per invertire la marcia in tutto il mondo si è mobilitato un gruppo sempre più folto di sociologi, economisti, filosofi e una massa crescente di militanti. In Italia è molto attivo il Movimento per la Decrescita Serena animato dai libri e dalle iniziative di Maurizio Pallante. Tutti questi studiosi sostengono con Latouche che “l’obiettivo della decrescita serena e conviviale è una società nella quale si vivrà meglio lavorando e consumando meno”.
Tutto ciò comporterebbe la guarigione da malattie sociali come l’alienazione, l’allentamento dei legami interpersonali, la mercificazione dei beni, dei servizi, dei rapporti e della cultura; la spinta a recuperare alcune dimensioni perdute della nostra vita, iniziando dall'amore per la terra. Queste dimensioni perdute e da recuperare, secondo Latouche, sono “il tempo per fare il proprio dovere di cittadino, il piacere della produzione libera, artistica o artigianale, la sensazione del tempo ritrovato, il gioco, la contemplazione, la meditazione, la conversazione, o semplicemente la gioia di vivere”. E Cornelis Castoriadis vi aggiunge l’amore della verità, il senso della giustizia, la responsabilità, il rispetto della democrazia, l’elogio della differenza, il dovere della solidarietà, l’uso dell’intelligenza. In poche parole, l’incanto della vita.
Se alla Francia va il merito di avere avviato il movimento per la decrescita, all'Italia va il merito di avere recuperato il concetto di slow e di avere innescato la proliferazione di una miriade di movimenti per la sua difesa.
Rispetto al movimento della decrescita, che rifiuta sia il concetto di sostenibilità, sia l'attuale modello economico preso in blocco, i movimenti Slow sono meno allarmisti, meno avversi all'economia di mercato, più mirati su singoli aspetti come il cibo o il turismo. Parlano piuttosto di qualità della vita e, a differenza dei teorici della decrescita, non rifiutano il concetto di sviluppo sostenibile. Difendono il diritto al piacere, alla diversità, alla convivialità. Sono contrari al consumismo, alla standardizzazione e all’accelerazione. Rifiutano il liberismo ma sono convinti che si possa arrivare a un nuovo modello di società migliorando quello attuale e rivalutando la frugalità. Per i movimenti Slow “vivere e pensareslow significa adeguare il proprio stile di vita ai ritmi naturali, essere sensibili alle stagioni, riacquisire la consapevolezza delle distanze, sviluppare una conoscenza dei prodotti e dell’ambiente nel quale viviamo” come dicono Menétrey e SzerMan.
Il primo e il più imponente dei movimenti slow è Slow Food, presente in 130 nazioni con oltre 120.000 associati, nato nel 1986 per opera di Carlo Petrini che ne resta l'ispiratore e il leader. Per Petrini “Slow Food”, con le iniziative consorelle di “Terra Madre” e dell’Università del Gusto, rappresenta una proposta e un esperimento per contribuire a colmare il vuoto di modello che disorienta la società postindustriale.
5. Se Petrini Scrive in Terra Madre: “Noi dobbiamo imparare ad aprire la mente al non esatto – al non spiegato del tutto, al buono e al bello, concetti che non sempre possono trovare una codifica universale”, papa Bergoglio, rifacendosi al poverello d’Assisi, dice nella sua enciclica: “Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità… In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore” (10). Di qui il metodo interdisciplinare e interculturale che papa Francesco
propone:
“Se teniamo conto della complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, dovremmo riconoscere che le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità. Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio” (63).
(*) Sociologo. Professore emerito di Sociologia del lavoro presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
«Vivere la vocazione di essere custodi dell'opera di Dio è
parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di
opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell'esperienza cristiana» (Laudato
Sì 217)
L’uomo è sempre intervenuto sulla natura, poiché ha sempre
avvertito il bisogno di adattare l’ambiente alle sue esigenze. Pensiamo a
quando l’uomo ha selezionato i primi vegetali per ottenere il pane o a quando
ha addomesticato gli animali per il trasporto delle cose e delle persone e per
la coltivazione della terra. Per millenni la natura per l’uomo era la casa (dal
greco: oikos, perciò l’ecologia è lo studio della casa, cioè dell’ambiente
naturale). Il grosso cambiamento avviene con l’avvento della moderna era
postindustriale, che ha perseguito la sovrapproduzione col più alto
sfruttamento delle risorse. L’ecologia è una scienza recente. Il nome risale al
1866, grazie al biologo tedesco E. Haeckel, ma solo agli inizi del XX secolo si
sviluppano la fisiologia e la geografia delle piante e degli animali, la
climatologia, la bioclimatologia, la sintesi delle quali avrebbe appunto
costituito l’ecologia. Ma l’uso è diventato spesso abuso, l’utilizzo un fine
secondo scopi di lucro e di sopraffazione, e la nostra casa è stata ridotta a
discarica. Come sentirci responsabili di tutto ciò? Quanto impegno ci mettono i
cristiani nella custodia di questa “casa” che è l’ambiente naturale? Ed è
veramente sentito dai giovani l’appello del creato ad essere custodito, amato,
rispettato, difeso?
“Ama l’ambiente come te stesso” Potrò comprendere ciò solo
se sono interessato a essere protagonista della mia storia e della mia vita,
deciso a costruirla con le mie mani e non soggetto passivo di mille
manipolazioni, in balia dell’oggi e del consumismo imperante. «La nostra vita –
afferma Z. Bauman – è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o
no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista,
quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili, degli obiettivi che
siano ben oltre la nostra portata…» La tutela dell’ambiente è oggi – a livello
personale e a livello mondiale – uno di questi obiettivi. Essa richiede da noi
in primo luogo uno sforzo di conoscenza, di comprensione dei problemi che ci
assediano visti da una prospettiva nuova: quella di esservi implicati e
chiamati in causa personalmente. Come una volta si è espresso Einstein: “Il
problema oggi non è l’energia nucleare, ma il cuore dell’uomo.” Non sono i
grandi problemi ambientali il vero pericolo per noi uomini, quanto l’incapacità
di essere in sintonia, l’incapacità di empatia con la terra, nostra madre. Il
cuore è diventato un problema, perché non siamo più in grado di percepire che
la terra, il territorio, l’ambiente sono qualcosa che ci plasmano, ci “fanno
persone”. L’aria è la mia aria, l’acqua è “sorella acqua”, il sole è “fratello
sole”… Cosa vuol dire? Vuol dire, per esempio, questo: Se una famiglia riduce
del 70% il consumo di acqua minerale in bottiglia di plastica, il risparmio
annuo è il seguente: circa 10 kg di rifiuti in meno a testa, 80 kg di anidride
carbonica evitate all’ambiente e 200 € di risparmio familiare. Una doccia è bella
se dura poco: in 3 minuti consumi 40 litri d’acqua, in 10 minuti più di 130
litri. Pulisciti i denti, ma con intelligenza: se la lasci scorrere, getti fino
a 30 litri d’acqua, quindi aprila solo quando li risciacqui. Prendere il sole
oggi ha un altro significato e un’altra valenza: vuol dire usare per il
riscaldamento, dove è possibile, pannelli solari. Dobbiamo spingere gli adulti
a fare questo. Indipendentemente da come il tuo Comune risolverà – con più o
meno successo – il problema dei rifiuti, potresti mettere tu in opera la
“regola delle 4R”: riduzione, riutilizzo, riciclo, recupero. 1. Riduzione. Come
produrre meno rifiuto? Scegliendo prodotti costituiti da minor materiale di
imballaggio, portando da casa la borsa della spesa, servendosi di prodotti
ricaricabili. Pensa sempre che ogni oggetto che usi diventerà un rifiuto: fallo
durare il più a lungo possibile. 2. Riutilizzo. Come utilizzare più volte una
cosa prima di gettarla via? Se usi pile ricaricabili, queste si possono
ricaricare fino a 500 volte. Usando contenitori con vuoto a rendere,
recuperando certi tipi di imballaggio, trovando nuovi usi. Usa le lampadine a
risparmio energetico: consumano 5 volte di meno e durano 10 volte di più. 3.
Riciclo. È la tecnica e la saggezza che ci porta a trasformare nuovamente il
materiale – con la selezione dei rifiuti, adottando con responsabilità la
raccolta differenziata. 4. Recupero. Si tratta di valorizzare il rifiuto come
una risorsa per ricavare energia od oggetti diversi da quelli di partenza, come
giochi per i bambini, ecc. Concludendo queste riflessioni con una citazione di
Andy Warhol : “Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma
d’arte che si possa desiderare.” Chi rispetta l’ambiente oggi è un artista
della vita. C’è da imparare da lui e da considerarlo “maestro”.
·
Che cosa
vuol dire coltivare e custodire la terra?
·
Noi
stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando
e trascurando?
·
Che
contributo posso dare con il mio piccolo gesto di rispetto dell’ambiente alla
soluzione di
·
questi
grandi problemi?
·
E se
facessimo finta che i sacchetti di plastica non esistano più e usassimo le
borse di cotone perla spesa?
·
C’è
qualcuno di voi che può raccontare una storia su una busta di plastica vagante
negli oceani?
Dio ha rivolto un preciso comando agli uomini: «Siate
fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela e dominate sui pesci
del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla
terra» (Gen 1, 28). La rivelazione biblica ha demitizzato il mondo. Tutto
questo significa che l’uomo, per volere di Dio, può dominare la natura in modo
arbitrario, fino all’esproprio ed al saccheggio? Più volte la Bibbia ricorda
all’uomo che il mondo appartiene innanzitutto a Dio, che è l’unico Signore
della terra (cf Gb 38, 4-7; Is 40, 12. 21-26). Egli la governa con sapienza e
giustizia (cf Sal 24, 1). Tutto il potere dell’uomo, tutto l’antropocentrismo
della creazione, cioè il fatto che l’uomo è concepito e voluto come centro e vertice
di tutta la creazione, è sempre legato in modo evidente al teocentrismo, che è
il primato di Dio, Principio e Fonda -mento dell’essere di tutte le cose ed
anche dell’uomo. È Dio che ha affidato la terra all’uomo «perché domini sulle
creature, cioè perché governi il mondo con santità e giustizia e pronunzi
giudizi con animo retto» (Sap 9, 2-3; cf 10, 2). L’uomo è dotato di una
superiorità qualitativa rispetto alla natura circostante, ma tutto ha origine
da Dio. È Lui che la creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. È Dio che ha
immesso il suo alito divino nell’uomo e così gli ha comunicato lo spirito, cioè
lo ha reso una persona dotata di intelligenza, di volontà, di creatività, di
libertà, capace di amore e di dialogo, e destinata all’immortalità. Tutti i
doni elargiti da Dio all’uomo sono in un contesto di al-leanza. Si tratta del
dono dell’Io di Dio creatore al Tu dell’uomo, chiamato all’essere per diventare
il rappresentante di Dio sulla terra, il continuatore solerte della sua opera
divina di creazione del cosmo. Alla sapienza creatrice e ordinatrice di Dio
deve corrispondere, sul piano storico e sociale, il governo sapiente dell’uomo.
Questi è solo amministratore di beni ricevuti in dono, di un’eredità da
trasmettere non depauperata alle generazioni future. Gen 1, 28 usa il verbo
dominare (Dio dà l’incarico all’uomo di dominare sugli animali). Ebbene il
verbo dominare (dall’ebraico: radah) si applica anche al Messia, di cui appunto
si dice che dominerà da mare a mare, fino ai confini della terra (cf Sal 72,
8). Il dominio del Messia consiste «nel reggere con giustizia il suo popolo,
nel liberare il povero che invoca e il misero che non tro-va aiuto,
riscattandoli dalla violenza» (Sal 72, 2. 12. 14). L'universo non è sorto come
risultato di un'onnipotenza arbitraria, di una dimostrazione di forza o di un
desiderio di autoaffermazione. La creazione appartiene all'ordine dell'amore.
«Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai
fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo,
perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di
onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto
hai posto sotto i suoi piedi» (Sal 8, 4-7). Il cristianesimo ha demitizzato la
natura, le ha tolto un certo manto di divinità (pensia-mo ad un certo panteismo
e alle divinità della natura adorate per esempio nell’an-tico Egitto). In
quanto il creato appartiene a Dio, l’uomo riceve da Dio non un dominio
dispotico, come padronanza as-soluta, come potere illimitato;, ponendo l’uomo
al centro della creazione, anzi al vertice di essa, ha favorito lo sviluppo
delle scienze e delle tecniche, volte a sfruttare le risorse naturali per
migliorare le condizioni di vita sulla terra: questo non è un demerito, ma un
merito del cristianesimo sesso.
IL PENSIERO DEI PAPI
La cosiddetta crisi dell’ambiente non è soltanto una crisi
dell’ambiente naturale degli uomini, ma la crisi stessa degli esseri umani. Si
tratta in particolare della crisi del potere dell’uomo sulla natura, ritenuta
come valore da dominare e da usare a proprio piacimento e a proprio esclusivo
vantaggio. Se l’inquinamento è provocato da tale crisi, è evidente che questa
crisi a sua volta è provocata dalla stessa immane volontà di potenza che ha
caratterizzato l’epoca moderna a livello sia filosofico sia scientifico.
L’attuale degrado ecologico è dovuto a comportamenti umani e a modelli di
sviluppo che proprio il cristianesimo condanna, come la ricerca del massimo
profitto quale legge suprema dell’agire economico, lo sfruttamento selvaggio
delle risorse e il modello di sviluppo consumistico e di spreco prevalso nel
mondo occidentale. Il cristianesimo propone un modello di vita ispirato alla
sobrietà e alla moderazione nell’uso dei beni della terra; se non è proibito
ricercare nella propria attività economica un profitto equo, la ricerca del
massimo profitto a qualsiasi costo non può essere la legge suprema
dell’economia. Per evitare che l’attuale degrado ecologico cresca ulteriormente
e per risanare i guasti già avvenuti, ed anche per fare opera di prevenzione,
occorre adottare misure di natura sia tecnica sia etica. Tutto il problema
ecologico va impostato non dimenticando mai che il punto focale di riferimento
e la norma ultima di valutazione deve essere sempre la persona umana. Bisogna
anzitutto capire chi è l’uomo e cos’è la natura e così capiremo anche quale
relazione vitale intercorre tra l’uomo e l’ambiente. La crisi ecologica è un
problema morale: Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della
Pace 1990, n. 7 «Spesso le ragioni della produzione prevalgono sulla dignità
dei lavoratori e gli interessi economici vengono prima del bene delle singole
persone, se non addirittura di quello di intere popolazioni. In questi casi,
l’inquinamento o la distruzione dell’ambiente sono frutto di una visione
riduttiva e innaturale, che talora configura un vero e proprio disprezzo
dell’uomo. È il rispetto per la vita e, in primo luogo, per la dignità della
persona umana la fondamentale norma ispiratrice di un sano progresso economico,
industriale e scientifico». Alla radice dello scarso rispetto per la vita umana
e per il creato c’è uno stile di vita caratterizzato da individualismo, ricerca
del proprio esclusivo interesse, edonismo e consumismo più spinto. La vera
soluzione sta nell’apertura gli altri, nel recupero del senso del bene comune.
Occorre capire che il valore e lo scopo più grande della vita non possono
consistere nell’acquisto e nel consumo sempre più largo di cose materiali. È
dunque il modello di sviluppo, individualista e consumista, dell’uomo
occidentale che deve cambiare nel senso della temperanza e dell’austerità e nel
senso della solidarietà e della condivisione: per parlare cristianamente, nel
senso della povertà e della carità evangeliche. Questo lo si può ottenere solo
se avvengono un radicale cambiamento di mentalità e l’effettiva rinuncia a un
tenore di vita obiettivamente incompatibile con le leggi cambiamento di
mentalità e l’effettiva rinuncia a un tenore di vita obiettivamente
incompatibile con le leggi essenziali dell’ecologia. Giovanni Paolo II,
Evangelium vitae, n. 27: «Per celebrare il Vangelo della vita, è necessario uno
sguardo contemplativo: gioia, lode e ringraziamento per il dono inestimabile
della vita». Un errore opposto che si va anche affermando, ed è quello di una
tendenza a considerare la natura quasi come un idolo da adorare e, quindi, da
conservare senza alcun intervento innovativo. C’è il rischio di creare un nuovo
mito circa l’intangibilità assoluta della terra. La vera soluzione è che la
terra ha bisogno dell’intervento dell’uomo, del suo lavoro, per poter essere
ospitale e feconda. L’uomo moderno, orgoglioso di essere divenuto ormai homo
faber (artefice del suo destino), deve tornare ad essere primariamente homo
sapiens. Già Giovanni Paolo II rilevava: “La crisi ecologica pone in evidenza
l’urgente necessità morale di una nuova solidarietà specialmente nei rapporti
fra i Paesi in via di sviluppo e i Paesi altamente industrializzati” (Messaggio
per la Giornata mondiale della Pace 1990, n. 10). Proprio in questo messaggio
san Giovanni Paolo II evidenziava il rapporto tra ecologia e rispetto per la
vita umana: «Occorre l’educazione ad una responsabilità ecologica che affermi
con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e
in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione
della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto
della natura (n. 12)». Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 29 giugno 2009: «Se
non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende
artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell'uomo, se si
sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere
il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale»
Benedetto XVI, Discorso per l’atto di venerazione all’Immacolata a piazza di
Spagna, 8 dicembre 2009: «Spesso ci lamentiamo dell’inquinamento dell’aria, che
in certi luoghi della città è irrespirabile. È vero: ci vuole l’impegno di
tutti per rendere più pulita la città. E tuttavia c’è un altro inquinamento,
meno percepibile ai sensi, ma altrettanto pericoloso. È l’inquinamento dello
spirito; è quello che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci
porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia. […] Maria
Immacolata ci aiuta a riscoprire e difendere la profondità delle persone,
perché in lei vi è perfetta trasparenza dell’anima nel corpo. È la purezza in persona,
nel senso che spirito, anima e corpo sono in lei pienamente coerenti tra di
loro e con la volontà di Dio» Papa Benedetto XVI, ad Assisi nel giugno 2007,
ricordava il rapporto che c’è tra pace, s. Francesco, ecologia, spirito
d’Assisi e dialogo: «È questa sua conversione (di san Francesco) a Cristo, fino
al desiderio di trasformarsi in Lui, diventandone un’immagine compiuta, che
spiega quel suo tipico vissuto, in virtù del quale egli ci appare così attuale
anche rispetto a grandi temi del nostro tempo. Temi quali la ricerca della
pace, la salvaguardia della natura, la promozione del dialogo tra tutti gli
uomini. Francesco è un vero maestro in queste cose. Ma lo è a partire da
Cristo. È Cristo, infatti, la nostra pace (cfr Ef 2,14)». Papa Benedetto XVI, Messaggio
per la giornata mondiale della pace 1° gennaio 2010 "Se vuoi coltivare la
pace, custodisci il creato", 15 dicembre 2009: «Sembra infatti urgente la
conquista di una leale solidarietà inter-generazionale. I costi derivanti
dall’uso delle risorse ambientali comuni non possono essere a carico delle
generazioni future […].L’uso delle risorse naturali dovrebbe essere tale che i
vantaggi immediati non comportino conseguenze negative per gli esseri viventi,
umani e non umani, presenti e a venire; che la tutela della proprietà privata
non ostacoli la destinazione universale dei beni; che l’intervento dell’uomo
non comprometta la fecondità della terra, per il bene di oggi e per il bene di
domani. Oltre ad una leale solidarietà inter-generazionale, va ribadita
l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intra-generazionale,
specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e quelli altamente
industrializzati. La crisi ecologica mostra l’urgenza di una solidarietà che si
proietti nello spazio e nel tempo. È infatti importante riconoscere, fra le
cause dell’attuale crisi ecologica, la responsabilità storica dei Paesi
industrializzati. I Paesi meno sviluppati e, in particolare, quelli emergenti,
non sono tuttavia esonerati dalla propria responsabilità rispetto al creato,
perché il dovere di adottare gradualmente misure e politiche ambientali
efficaci appartiene a tutti. Ciò potrebbe realizzarsi più facilmente se vi
fossero calcoli meno interessati nell’assistenza, nel trasferimento delle conoscenze
e delle tecnologie più pulite».
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