domenica 1 marzo 2020

LE RELAZIONI INTERPERSONALI

PREGHIERA
Aprici Signore, all’accoglienza di ogni persona
 bella o brutta, gentile o scorbutica, 
simpatica o antipatica,
 aprici Signore, all’accoglienza del diverso da noi
 per età, per provenienza, per cultura. 
Aprici Signore, all’accoglienza di chi vive con noi 
e che non sempre abbiamo accolto in cuore. 
Aprici Signore, all’accoglienza dell’altro, di ogni altro, 
di ogni altra, che incrocia la nostra vita. 
Aprici, non concederci di stare tranquilli 
nel nostro isolamento, 
spalanca la nostra mente, scuoti il nostro cuore e 
costringici a lasciarli entrare. 
Potremo così scoprire l’immensa ricchezza 
che tu vuoi donarci attraverso ciascuno di loro.
 Amen.

 Non possiamo non entrare in relazione. Possiamo esprimerla in senso negativo o positivo, o tacere al suo interno, ma questo non ci toglie dalla relazione con gli altri. (Marisa Ferrario) 

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Le relazioni interpersonali



 In ognuno di noi è forte il desiderio di amore: la fame e la sete di amicizia, di itimità, di unione e di comunione sono immense, ma speriamo contemporaneamente quanto sia difficile soddisfare questi desideri.
In tutto questo, se guardiamo bene, la parola centrale è “relazione”. Noi desideriamo rompere l'isolamento e la solitudine ed entrare in un rapporto che ci offra il senso della casa, l'esperienza di appartenere a qualcuno, un senso di sicurezza e il sentimento di avere un buon rapporto con gli altri. Ogni volta, però, che ci impegniamo in un rapporto di questo genere, scopriamo rapidamente la difficoltà di stare vicino a qualcuno e la complessità dell'intimità tra le persone. Più grande è la nostra attesa che un altro essere umano ademia i nostri desideri più profondi, e più grande è la sofferenza quando ci troviamo di fronte alle limitazioni delle relazioni umane. Allora il nostro desiderio di intimità diventa esigenza. Ma appena cominciamo a esigere amore da un'altra persona, l'amore si trasforma in violenza, in fraintendimento. Possiamo dire che esistono 4 forme di essere in relazione– comunione con le persone:
l. "Essere tra" gli altri. Questa è la modalità più povera della relazione umana, perché prevede di essere in mezzo alle persone, alle cose e agli oggetti senza interazione o reciprocità. Si sta in mezzo alle persone come se fossero cose, con una distanza emotiva tale per cui ignoro le altre persone che stanno intorno a me. Non voglio male alle persone, semplicemente le ignoro, passo accanto senza fermarmi, nessuna relazione mi tocca.
2. "Essere con" gli altri. Qui entra la dimensione relazionale affettiva. In questa dimensione quando ci si incontra ci si riconosce e si è contenti di incontrare l'altra persona. Si fa esperienza dell'altro come essere diverso da noi, con le sue doti e i suoi difetti per cui anche il conflitto non è mai insanabile perché diventa la scoperta delle diversità dell'altro fino ad arrivare alla negoziazione di un significato comune. Per essere con gli altri è necessario entrare "in intimità" con loro, un'intimità fatta di attenzione, ascolto, tenerezza, silenzio, capacità di cogliere la profondità dell'essere dell'altro
3. "Essere per" gli altri. Questo non significa rinunciare alla propria individualità, ma sentire che non si può essere felici da soli. E' il superamento dell'egoismo, significa collocare il proprio baricentro fuori di se stessi, nell'incontro con l'altro. "Durante uno dei suoi molteplici viaggi in Australia Frankl ricevette in regalo un boomerang. Gli fu spiegato che tale oggetto ritorna verso colui che l'ha lanciato quando ha sbagliato mira, quando non ha colpito la preda. Proprio come la vita dell'uomo. Egli si chiude in se stesso quando ha fallito, quando ha sbagliato nel compito da realizzare, quando ha dimenticato qualcosa al di fuori di se stesso. In fondo, la maniera migliore per dimenticare le nostre preoccupazioni consiste nel darsi agli altri. La forma più sicura per ottenere la gioia e la pace è quella di fare qualcosa per gli altri. E questo può deciderlo solo il singolo. L'uomo è libero di costruire il proprio futuro. Sta a lui arricchirlo o deformarlo".
4. "Essere in". Questa modalità di relazione riguarda il rapporto con l'Assoluto, con Dio. "L'essenza dell'esistenza umana sta nella sua auto-trascendenza. E per auto-trascendenza si intende il fatto che essere uomo vuol dire fondamentalmente essere orientato verso qualcosa che ci trascende, verso qualcosa che sta al di là e al di sopra di noi stessi, qualcosa o qualcuno, un significato da realizzare, o un altro essere umano da incontrare e da amare. Di conseguenza, l'uomo è se stesso nella misura in cui si supera e si dimentica".
Perché una relazione sia effettivamente costruttiva occorre che abbia alcune qualità specifiche presenti in modo concomitante:
la similarità, la capacità di rapporto alla pari come persone umane, pur nella diversità dei ruoli
la complementarietà come scambio di doni e di servizi entro una difendibilità assunta
la diversità irriducibile data dalla singolarità o dall’unicità di ogni persona. Ci sono alcune trappole ricorrenti di cui tener conto e da evitare perché snaturano le relazioni interpersonali. Le principali sono le seguenti:
  l’altro percepito e vissuto come specchio di
l’altro come fotocopia di sé, uno clonato su di
l’altro come estensione di sé con cui fondersi
  l’altro come alternativa a se stessi, come antitesi pericolosa.
 E’ importante non ridursi a essere un fazzoletto per tutti i nasi, un fattorino della propria vita vissuta in prestito, un riccio chiuso e arrabbiato, un oggetto tappabuchi per gli altri. Aprire un riflessione sui vari punti proposti 


Le relazioni nella Bibbia

La Bibbia è una raccolta di vicende umane che si intersecano, di rapporti umani che si creano, si distruggono, si ricostruiscono. La Storia sacra che Dio ha voluto vivere con l’umanità non è mai stata una storia per singoli ma sempre per uomini e donne, che seppur raggiunti nella loro vicenda individuale, sono stati strumenti e testimoni per la costruzione di una famiglia, di un popolo, di un’umanità nuova. Dio non ci ha creati per stare da soli “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18) ma per camminare insieme ad altri nella scoperta di ciò che siamo e nell’aiuto reciproco a diventare ciò che Lui ci chiama ad essere. Nella Bibbia ci sono racconti di padri e di figli, di mogli e di mariti, di amici, di fratelli, di guide e capi, di schiavi e di nemici. Storie di uomini e donne che vivono le più svariate condizioni umane, personali e sociali, e che sono coinvolti in una storia più grande di loro, una storia sacra appunto, perché “Nessuno è un’isola”, nemmeno nel progetto d’amore di Dio. Adamo ed Eva, Abramo e Isacco, Mosé e il suo popolo, Giuseppe e i suoi fratelli, Davide e Gionata, tanti nomi, tanti volti, tante storie di vita che diventano luce per le nostre relazioni e che ci accompagneranno in tutto il nostro cammino. Ma la relazione più significativa la vediamo in Dio stesso. Dio è in se stesso relazione, comunione. Il suo è un volto trinitario e ha voluto fare l’uomo a “sua immagine e somiglianza” anche in questa essenza relazionale, in questo bisogno di non rimanere da solo ma di compiersi nella relazione con altri. Dio ha il volto di padre, di figlio e di un amore che genera altro amore. La sua essenza ci dimostra come non può esserci vita senza relazione, nemmeno vita divina. E come non può esserci amore senza relazioni. Tutta la rivelazione di Dio all’umanità è stata una lunga storia d’amore fra Dio e delle persone concrete che, conoscendo di più Dio, hanno imparato a conoscere se stesse e ad accogliere gli altri. Il progetto di Dio per l’uomo è la costruzione di un popolo solo, di un’umanità unita nell’amore, di un regno nuovo in Gesù, per mezzo dello Spirito Santo da Lui donato. Per approfondire il tema: Fraternità nella Bibbia (Enzo Bianchi) http://www.comboniani.org/wp-content/uploads/2013/01/FPit-2013-2-Le-radici-evangelichedella-fraternit+%C3%A1-A4.pd



In contemplazione





Si può osservare l’immagine dell’icona  creando un clima di silenzio, anche attraverso un sottofondo musicale. Leggere il brano Gen 18,1-10 Spiegare il significato dell’icona sottolineando la bellezza di un Dio che visita l’uomo e che si mostra in una relazione tra tre persone .
Spiegazione:  l ’Icona della SS.Trinità è il capolavoro dell’iconografo Andrej Rublëv (1360-! 430), il quale visse santamente come monaco e figlio spirituale di San Sergio Radonez. L’icona della SS.Trinità è stata definita “l’icona delle icone” nel 1551 dal Concilio dei Cento Capitoli. E’ un capolavoro di rara profondità teologica, di bellezza incomparabile e di finissima ricchezza di simboli. Rublëv l’ha scritta nel 1422 per la canonizzazione di Sergio di Radonez, fondatore del monastero dedicato alla SS. Trinità, dove Rublëv viveva. L’amore eterno e perfetto emanante dalla SS.Trinità fu oggetto di contemplazione e precetto d’attuare in ogni vita, base della edificazione sia della Chiesa, sia della persona, dello Stato, e della società. San Sergio vide l’immagine di questo amore incarnata nella forma canonica dell’apparizione dei tre angeli a Mamre (Genesi 18). Egli cercò di trasmettere in chi a lui si rivolgeva l’idea di diversità e di unità che il mistero promanava. Egli ha riunito così tutta la Russia della sua epoca attorno alla sua chiesa, attorno al nome di Dio, affinché gli uomini mediante la contemplazione della Santa Trinità vincano l’odiosa divisione del mondo e imparino a vivere sulla terra. Il destino dell’uomo s’ impara in questa contemplazione, proprio come aveva pregato Gesù: “Padre, dove sono io, voglio che siano pure coloro che mi hai dato” (Giov.17,24). Aveva già chiesto: “Padre che siano tutti uno, come noi, affinché il mondo creda” (Giov 17-21)
Rublev seppe rappresentare la sintesi del più grande mistero della nostra fede, rivelandoci l’unità e al tempo stesso la distinzione delle persone divine. In questa icona il cerchio (eternità, perfezione) si impone come motivo dominante di tutta la composizione. Nel cerchio stanno perfettamente le tre figure angeliche che stanno ad indicare l’amore perfetto, senza inizio e senza fine. Il triangolo, la cui base è il lato superiore del tavolo e il cui vertice posa nel capo dell’angelo centrale, è la figura semplice che mi dice tre in uno, uno in tre. Cerchio e triangolo non si vedono; proprio come Dio, che è presente eppure non lo vediamo. Le forme quadrangolari sono invece ben definite, (pedane, tavolo, sgabelli), visibili come il creato e la terra che esse rappresentano. A questo ritmo di composizione si uniscono colori di un’armonia incomparabile. Essi sono usati eloquentemente per esprimere dei simboli: - il rosa-oro richiama il manto imperiale, - il verde indica la vita, - il rosso l’amore sacrificato. - Speciale significato ha il blu che indica la divinità e le verità eterne. E’ distribuito a tutti e tre gli angeli: l’angelo di sinistra nel quale riconosciamo il Padre, porta la tunica di colore blu, ma essa è quasi totalmente coperta dal manto regale (invisibilità-ineffabilità). Dio nessuno l’ha mai visto, per questo l’angelo centrale, nel quale riconosciamo Dio Figlio, porta il manto blu: “il Figlio l’ha rivelato”, solo nel Figlio si fa visibile. “Chi vede Me ,vede il Padre” Il Figlio è uomo (tunica rosso sangue); ha ricevuto ogni potere dal Padre (stola dorata, sacerdozio regale di Cristo). Anche l’angelo di destra, nel quale riconosciamo Dio Spirito Santo, mostra la tunica blu in abbondanza, perché il ruolo è di “far comprendere e ricordare la Parola” (Giov.14,26). Il manto verde indica che lo Spirito Santo è Dio che “da’ la vita” e “rinnova la faccia della terra”. Il Padre siede con solennità sul suo trono. Il suo sguardo, il gesto della sua mano destra sembrano esprimere un comando breve e chiaro con semplicità, ma con autorità: tutto procede da Lui. Egli chiama il Figlio indicandogli con mano benedicente la coppa al centro (contenente l’agnello del sacrificio). Il Figlio comprende la Volontà del Padre –farsi cibo e bevanda degli uomini- e l’accetta (china il capo e benedice la coppa) “mio cibo è fare la Volontà del Padre” - chiedendo l’assistenza dello Spirito Consolatore. Questi accoglie (mano posata delicatamente sul tavolo) la Volontà del Padre per il Figlio, e con il suo piegarsi riporta la nostra attenzione al Figlio e al Padre: vuole metterci obbedienti davanti a Gesù (“nessuno può dire “Gesù è Signore” se non per opera dello Spirito Santo”) e abbandonati e fiduciosi davanti al Padre (“lo Spirito grida nei nostri cuori: Abbà, Padre!”). C’è posto anche per me, in questo circolo d’amore delle Tre Persone : davanti c’è lo spazio per me, perché io possa partecipare al colloquio intimo e segreto, gioioso e impegnativo: è lo spazio dei martiri (finestrella dell’altare), di chi offre la vita. Il mio posto ha la forma di calice (lo spazio libero tra le pedane). Fuori dal cerchio vediamo: la montagna (luogo del silenzio e delle manifestazioni di Dio), l’albero (quercia di Mamre, l’albero della Croce, nuovo albero della vita), la casa (il Padre accoglie ed ama tramite la Chiesa, che per essere edificata richiede il lavoro dell’uomo, la collaborazione e l’armonia di più uomini). I bordi accennano ad un ottagono: la creazione si riposa nella calma e pienezza dell’ottavo giorno, giorno del Signore. “La carità è il progetto originario di Dio, della Trinità, che consegna questo dono all’uomo, lo imprime nella sua identità, così che questo amore diventa un apriori da cui partire per costruire tutte le relazioni”. (Benedetto XVI)

Dio ci invita  ad  entrare  nel dinamismo della sua stessa relazione per diventare anche noi costruttori di rapporti autentici.


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