Mons. Sergio Melillo
Diocesi di Ariano Irpino – Lacedonia
25
dicembre 2020
*Natale del Signore
Cosa tiene accese le stelle?
Con il viso “rubizzo” dei
bambini e lo sguardo acceso, a Natale si attendeva un sospirato “dono”.
La “letterina di Natale”, con
parole allineate su un foglio illustrato e luccicante, dai propositi declamati
davanti al presepe, era diretta al padre, che, come san Giuseppe, custode della
vita tra il lavoro e la casa. Con la complicità affettuosa della mamma, nel
pranzo di Natale, veniva letta, come in un rito, impettiti e timidi, con
sguardi lucidi.
Questi ricordi ridonano
il senso di famiglia tra paure e solitudini in questo
difficile Natale. La memoria ci sorregge tra luci ed ombre.
Nel prologo del suo vangelo Giovanni dice: «Veniva nel mondo la luce
vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto
per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe» (Gv. 1,9-10). Siamo all’incontro
con il Salvatore, con lo stato d’animo di attesa, di un “dopoguerra”. Chiediamo al Signore di “fare luce” … perché è Lui la luce vera di cui abbiamo bisogno!
Nell’umanità del Bambino, generato nel grembo verginale di Maria, è
custodito tutto il genere umano, vita vera che rischiara le tenebre del mondo:
«Appari
Signore, perché tutto è molto faticoso quando si perde il gusto di Dio» (A. de Saint-Exupery) e … si è
smarrita la via di casa…
A Betlemme nella mangiatoia è deposto un Bambino, Vita donata nella notte
,che ci attende ,noi ,pastori condotti dal chiarore della Stella. Il nostro è
andare da Nazaret del “Sì” della
Vergine, a Betlemme
“casa del pane”, tra
vecchio e nuovo, rottura e continuità, attesa e sorpresa.
Quella notte si accese una luce tra le braccia della Madre e lo sguardo
vigile di Giuseppe; il bagliore
della Grazia illuminava quel travagliato presepe, come i tanti presepi della
storia, dove abitano solitudine e povertà.
A Natale celebriamo il Sacramento della povertà, dell’indigenza che ci
accomuna. Scopriamo d’essere
precari e che «nessuno può amare … se non può avvolgere con le sue braccia l’amato»
(Fulton Sheen)
Finalmente, «… l'alba si accende, ed ecco l'aurora, poiché, dopo avermi a
lungo fuggito, la speranza consente a ritornare a me che la chiamo e l'imploro
…» (Paul Verlaine).
Nello
scenario del mondo prorompe l’aurora, mentre le “cose” della fede apparentemente,
sembrano perdere “smalto”. Ma
non è così! Il Signore
nella Sua provvidenza ritorna ad abitarci il cuore. Dio torna
nell’umano: «Finché vivrò, non cesserò di invocare, per richiamare in me il
Verbo: “Ritorna!” (Ct 2,17). E ogni volta
che se ne andrà, ripeterò questa invocazione, con il cuore ardente di
desiderio» (S. Bernardo di Chiaravalle).
In tempo di
pandemia, di povertà di relazioni e di pane, spogli ed incerti, serve il coraggio della Santa Famiglia per andare “migranti” a Betlemme. In quella grotta
- occasionale riparo - tra un bue ed un asino, si svela davvero il senso della
Vita!
Nella
mangiatoia vi è il sospiro della Misericordia, il vagito, l’alito della
creazione nuova e salvatrice di Dio, la visione di maggiore umanizzazione del
mondo.
«Il Verbo
si fece carne» (Gv 1,14); il Volto di Dio, l’inconosciuto, assume il tratto umano da riconoscere con gioia nel Cristo Bambino,
nei volti di casa e nei
volti dei lontani, della gente, dei poveri.
A Natale chiediamo
a Gesù di tenere accese le stelle,
di donarci il coraggio
di rinascere.
Santo
Natale!
X Sergio, vescovo
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