venerdì 10 aprile 2020

UNA GUIDA PER NON PERDERSI


FINALITA’ EDUCATIVA
Mettere ordine nella propria vita quotidiana. Comprendere che  i genitori, i nonni, i fratelli maggiori, gli insegnanti, i capigruppo, gli allenatori e anche gli educatori e i sacerdoti nella Parrocchia non sono portatori di “comandi”,  ma sono "guide ed esempio", ossia che aiutano nelle scelte da compiere. Stabilire quali relazioni e quali rapporti debbano esserci tra l'adolescente e queste figure di riferimento.
ATTIVITA’
Chiedere agli adolescenti la loro definizione dei due termini:  AUTORITÀ – AUTOREVOLEZZA
Dopo il confronto, spiegare la differenza dei due termini portando degli esempi concreti. Chiedere a loro qual è l’atteggiamento più produttivo.
Autorità ed autorevolezza, pur essendo simili come termini ed espongono lo stesso concetto del comando, rappresentano due realtà diverse con condizioni dissimili tra loro. Il termine Autorità (dal latino auctoritas) fonda le sue radici su un modello gerarchico strutturato in piramide dove il capo ricopre il vertice più alto, al di sotto del quale ci sono i cosiddetti dipendenti, i quali a loro volta hanno dei sottoposti e così via di seguito sino alla base della struttura. L’autorità del capo deriva dall’assegnazione di un ruolo, una carica che serve al sistema per poter essere ottimamente funzionante, il capo è investito di poteri direttivi, gestionali ed organizzativi, è la mente del sistema, i suoi esecutori sono le braccia, i suoi collaboratori coloro che lo aiutano nel lavoro e gli facilitano le incombenze di tipo tecnico o relative a questioni o materie che richiedono una preparazione particolare e specifica. Per funzionare tale sistema, le indicazioni e le disposizioni del capo devono essere seguite ed adempiute in tutti i gradi della scala gerarchica, egli si occuperà di comunicare con le persone con cui ha contatto diretto le quali trasmetteranno il messaggio ai loro sottoposti e così sino all’ultimo esecutore. La posizione di capo o guida ha il potere inerente al posto che occupa, questo non significa che abbia intelligenza, conoscenza, capacità e carisma, il suo potere è dato esclusivamente dal ruolo, ma può scegliere di essere un buon capo o meno a seconda della buona amministrazione che realizza, che sappia tener conto anche delle esigenze delle persone che gli sono affidate. Ogni subalterno riconosce nel capo l’autorità dell’ambito che gli è affidato, deve eseguire gli ordini ed i lavori richiesti, deve cioè svolgere gli incarichi manuali di sua incombenza, ma non significa che deve avere anche la sua stima e rispetto che si concedono soltanto ad un capo che si fa amare dai suoi sottoposti non limitandosi soltanto a comandare. Diverso è il concetto di Autorevolezza (dal latino gravitas) che corrisponde ad una carica o funzione che non viene imposta per un’esigenza pratica di gestione del lavoro, dei ruoli, una gerarchia del sistema intrinseca alla sua funzionalità, ma si crea spontaneamente per empatia e per la capacità del capo di essere un leader, per il riconoscimento che riceve dagli altri appartenenti al gruppo, per il valore che questi gli danno e per il potere che gli concedono in quanto si sentono da lui assicurati, protetti, difesi, tutelati, fiduciosi del suo operato in favore di tutti e non solo fine a se stesso, ai proprio vantaggi o guadagni, ai personali interessi, ma che lavora ed opera per gli interessi dell’intera comunità.
Il leader che gode di autorevolezza ricopre una carica per i suoi valori personali e per le opere ed attività che realizza a favore della collettività o della società in cui vive e lavora ed agisce con un comportamento partecipativo e non gestionale o direttivo tipico del capo d’azienda. Il comportamento partecipativo significa che egli opera ed agisce in collaborazione con tutti gli altri, ponendosi nel gruppo come un loro pari, egli ha la capacità di coinvolgere gli altri nei suoi progetti, che sono sempre finalizzati al bene collettivo, e riesce anche ad influenzare i comportamenti del gruppo. Essendo riconosciuto come leader le persone tenderanno non solo a fidarsi di lui ma anche a seguire i suoi consigli, perché da tale rapporto traggono immensi vantaggi che sono la possibilità di avere qualcuno che progetta ed agisce per loro conto, persona di cui fidarsi tra l’altro, e propone man mano le soluzioni più adeguate e consone per risolvere i problemi, le situazioni critiche o a rischio. Tutto questo comporta un rapporto basato soprattutto sulla fiducia e sulla stima del valore e delle capacità del leader, ciò fa di lui un vero leader non solo idealmente ma in tutti gli aspetti pratici del ruolo autoritario come capo carismatico e trascinatore. Non agirà con ordini ed imposizioni, tipiche del capo autoritario che dispone, ma farà osservazioni, proporrà idee e progetti, sarà autorevole in quanto verrà ascoltato e seguito.
ATTIVITA’  E DINAMICHE
Singolarmente o in piccoli gruppi, gli adolescenti sono invitati ad analizzare la loro esperienza in merito alle figure di riferimento nei diversi ambiti della loro vita: famiglia, scuola, sport, divertimento, Parrocchia…
·       Quali sono le tue guide, i tuoi leaders?
·       Com’è il tuo rapporto con ciascuno di loro?
·       A quali persone riconosci il valore dell’autorevolezza?
·       Come riconosci che la loro guida è finalizzata al tuo bene?
·       Ci sono situazioni o momenti nei quali non riesci a seguire le indicazioni della guida? Perché?
·       Senti il bisogno di altre figure?
Si può anche invitare i ragazzi a produrre un piccolo video composto da interviste e considerazioni in merito alle loro figure di riferimento.
OBBEDIENZA E LIBERTÀ
Obbedienza e libertà. Due termini antitetici, ma solo in apparenza. Perché, come sottolinea il teologo Bonhoeffer: «L’obbedienza senza libertà è schiavitù, la libertà senza obbedienza è arbitrio». Solo nella libertà quindi, è possibile l’obbedienza, che diventa scelta di vita, adesione ad un progetto da rinnovare costantemente con la volontà e le azioni. L’uomo nasce nell’obbedienza: alle leggi della natura, alla cultura e alle tradizioni proprie della società in cui vive, agli ordinamenti statali e comunitari. Per il cristiano ciò diventa accettazione dei limiti propri della creatura, che solo nel Creatore realizza quella vocazione alla libertà propria dell’essere umano, che diversamente potrebbe sfociare in libertinaggio e anarchia. Per il cristiano, la partita obbedienza-libertà si gioca nella relazione filiale con Dio e nel desiderio di adempiere alla sua volontà.
OBBEDIRE È AMARE di Mons. Francesco Follo (in Zenit.org)
 Ma perché è così importante obbedire a Dio? Perché Dio ci tiene tanto a essere obbedito? Non certo per il gusto di comandare. Lui è un Padre che vuole dei figli e non degli schiavi. Questi figli sono chiamati ad amarlo mediante l’obbedienza, perché l’amore è realmente un’affermazione dell’altro, di un Altro: è obbedienza, praticate come l’affermazione di una presenza quale criterio e comportamento di vita. L’obbedienza a Dio è importante perché, obbedendo a Lui, noi facciamo la Sua volontà di bontà e perfezione, vogliamo le stesse cose che Lui vuole, e così realizziamo la nostra vocazione originaria che è di essere “a sua immagine e somiglianza”. Siamo nella verità, nella luce e di conseguenza nella pace, come il corpo che ha raggiunto il suo punto di quiete. Dante Alighieri ha racchiuso tutto ciò in un verso tra i più belli di tutta la Divina Commedia: “e ’n la sua volontate è nostra pace” (Dante Alighieri, Paradiso, 3,85). Per capire che la parola di Cristo non è un comando d’imposizione ma una legge di libertà amorosa, dobbiamo chiedere al Signore di farci capire che l’amore non è dare ciò che si ha, ma ciò che si è; allora si vuole anche ciò che gli altri sono, non le loro cose. Non il dono delle proprie cose è amore, ma il dono di sé. Non per nulla nella Sacra Scrittura l’amore è identificato all’obbedienza, perché l’obbedienza è il dono di sé. Se mi amate, osservate i miei comandamenti… Chi osserva i miei comandamenti, quello è colui che mi ama, dice Gesù nell’Ultima Cena
L’obbedienza cristiana è prima di tutto atteggiamento d’amore. È quel particolare tipo d’ascolto che c’è tra amici veri, perché illuminato dalla certezza che l’amico, che dà la vita per l’amico, ha solo cose buone da dire e da dare all’amico: un ascolto intriso di quella fiducia che ci accoglienti della volontà di Cristo, sicuro che essa sarà per il bene. L’obbedienza a Dio è cammino di crescita e, perciò, di libertà della persona perché consente di accogliere un progetto o una volontà diversa dalla propria che non solo non mortifica o diminuisce, ma fonda la dignità umana. Obbedire è vivere nella libertà Finché non c’è amore si obbedisce “costretti” da varie regole più o meno rigide e più o meno numerose. Nell’amore si ascolta la volontà dell’amato e si è lieti di metterla in pratica. L’obbedienza cristiana è libera e liberante., per questa obbedienza a Dio coincide anche con “il vero bene dell’Uomo”, di ogni uomo. Per il cristiano, l’amare Dio implica ovviamente l’obbedienza alla Sua volontà in vista di un sommo bene: la pace e l’amicizia con Dio e con gli uomini (si pensi alla “legge delle Beatitudini” data da Gesù durante il suo Discorso della Montagna. La Madonna è, dopo Cristo, l’esempio più alto di obbedienza, di amore e di libertà. La Vergine Maria ha accolto con libertà suprema il Verbo di Dio. Lei ha “osservato” (= custodito e messo in pratica) fedelmente il dono dell’Amore di Dio, che grazie alla suo sì obbediente si è fatto carne e a posto la sua dimora in noi e tra noi. Lei ha obbedito alla suprema legge dell’amore. Con il suo libero sì, ha fatto sì che la verità e l’amore di Dio entrasse nel cuore di lei e di ogni essere umano, che come lei dice sì al dono di Dio. Allora Dio pone nel cuore umano la sua fissa dimora. Non è un Dio qualsiasi:
è il Dio vivo,
che è amore,
che crea a sua immagine le libertà,
che libera dalla morte con la croce di Pasqua,
che apre all’uomo, nello Spirito Santo, lo spazio infinito della vera libertà.
Credere in questo Dio non è aderire ad una teoria, non è avere un’opinione sul divino e sull’umano. Credere è riconoscere una Presenza che ci ama. In effetti “la fede nasce dall’impatto dell’amore di Gesù con il cuore dell’uomo. La fede è l’iniziativa dell’amore di Gesù Cristo sul suo cuore.”(Benedetto XVI).

Ogni guida esige obbedienza: che senso ha per te?
Quali passi siamo invitati a fare in questa direzione?
L’obbedienza a Dio passa attraverso tante mediazioni:
quali sono le persone che ti aiutano a viverla?

MOSÈ: AMICO DI DIO E GUIDA DEL POPOLO D’ISRAELE
[…]A ottant’anni Mosè è ancora un uomo vivo: ha occhi attenti per scorgere un roveto che brucia, ma non si consuma, ha orecchi vigili per ascoltare la voce di Dio che chiama. Ma la ricerca richiede impegno. Alla sua età Mosè non ha paura di lasciare la fresca ombra della tenda per affrontare la calura del deserto, non teme di abbandonare il comodo cammino in pianura per inerpicarsi faticosamente su per la montagna: vuole rendersi conto personalmente, libero da ideologie deformanti vuole conoscere la verità direttamente. Il desiderio di verificare e lo stupore di Mosè a ottant’anni vengono premiati: Dio chiama proprio lui, il “quasi faraone” fallito, il liberatore rinnegato, il pastore ramingo in terra straniera. Dio ha bisogno di Mosè per realizzare il progetto di liberazione del suo popolo: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto… conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e farlo uscire da questo paese. Ora va! Io ti mando dal faraone. Fa uscire dall’Egitto il mio popolo, gli israeliti!” (Es 3,7-11). Altre volte nella preghiera Mosè aveva chiesto che Dio realizzasse i suoi progetti di uomo, ora è Dio che chiede a Mosè di mettersi a disposizione per fare la sua volontà. […] Ora Mosè si è “tolto i sandali dai piedi” (Es 3,5); liberato dalla presunzione di salvare i suoi fratelli, si presenta nudo davanti al Signore: solo così può essere strumento docile nelle mani di Dio e segno della sua misericordia. Mosè e Giosuè: la preghiera e l’azione Sapere che Dio lo ama e lo conosce per nome è fonte di meraviglia e di gioia per Mosè, tuttavia l’incarico ricevuto è gravoso: “Chi sono io per andare dal faraone e per fare uscire dall’Egitto gli israeliti? (Es 3,11). Ma Dio, dopo aver chiamato, non abbandona: “io sono con te” (Es 3,12). La liberazione avrà tempi lunghi, i momenti di difficoltà e di prova non mancheranno, per il popolo e per Mosè. Quando il popolo sta fuggendo e il faraone con il suo esercito sta arrivando, gli israeliti vengono presi da grande paura e contestano Mosè: “Forse perché non c’erano sepolcri in Egitto ci hai portati a morire nel deserto? Che ci hai fatto portandoci fuori dall’Egitto? Non ti dicevamo in Egitto: lasciati stare e serviremo gli egiziani, perché è meglio per noi servire l’Egitto che morire nel deserto?” (Es 14,11-12). La strada della liberazione è in salita. Seguire Mosè comporta abbandonare la vita di accomodanti compromessi in Egitto per correre verso un destino conosciuto soltanto da Dio. Anche Mosè viene posto di fronte all’alternativa di trattare la resa con il faraone dando ascolto a chi preferisce non correre rischi tornando in Egitto, oppure fidarsi di Dio: “Perché gridi verso di me? Ordina agli israeliti di riprendere il cammino” (Es 14,15).
Nel combattimento contro gli amaleciti a Refidim, Mosè e Giosuè rappresentano due facce della liberazione. È possibile proseguire nel cammino verso la terra della libertà, superando le difficoltà e vincendo i nemici, solo se c’è chi prega e chi combatte. C’è uno stretto rapporto fra Mosè, che prega sul monte aiutato da Aronne e Cur, e Giosuè, il capo militare che combatte a valle con l’esercito. “Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek” (Es 17,11). All’inizio entusiasma la sensazione di sentirsi strumenti per risolvere i problemi dell’altro, ma ben presto il peso della fatica e l’usura della quotidianità tolgono l’energia e le braccia tendono a cadere. Non si può essere a lungo eroi solitari e avanguardie generose, occorre cercare la collaborazione di tutti: di chi aiuta a tenere le braccia alzate e di chi non ha paura di sudare nel caldo della pianura, sporcandosi nella polvere della battaglia. Mosè: “servo inutile” Dio aveva chiesto a Mosè di tornare in Egitto per mettersi alla guida del suo popolo. È una vocazione di grande responsabilità che esige disponibilità al servizio e portare la croce. Mosè svolge il suo ruolo di guida e di mediatore fra Dio e il suo popolo innanzitutto con la parola. Le parole di Mosè sono efficaci perché sono l’eco della parola potente di Dio: “Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire” (Es 4,12). Una parola così potente che si trasforma in segni e realizza ciò che dice. Quello che Mosè non era riuscito a ottenere con la violenza, ora lo raggiunge con la forza della parola. Mosè è profeta, cioè portatore della parola di Dio, una Parola che rimprovera e consola, che indica il cammino e suscita speranza nei momenti di paura. Mosè è il postino di Dio che sale sul monte per prendere le tavole dell’alleanza, ma dopo il peccato è anche l’avvocato difensore e lo scudo del popolo nei confronti di Dio: “Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto” (Es 32,32). È una preghiera che indica quanto Mosè si senta intimamente coinvolto nella sorte del suo popolo. Mosè è responsabile della sopravvivenza di coloro che gli sono stati affidati da Dio e si fa strumento per procurare il pane, l’acqua e la carne per il popolo nel deserto. Ma al termine di quant’anni di fatica Mosè muore sul monte dal quale vede in lontananza la terra promessa. Sembrano risuonare le parole di Gesù: “Anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10). […]
Ricerca altri personaggi dell’A.T. che Dio ha chiamato come
guide del suo popolo: patriarchi, giudici, re, profeti…
Quali sono le caratteristiche della guida che Dio sceglie?
Film
L’oro di Scampia Un film di Marco Pontecorvo.
 Con Beppe Fiorello, Anna Foglietta, Gianluca Di Gennaro Drammatico, durata 100 min. - Italia 2013 Il film racconta la storia di Enzo Capuano, personaggio ispirato a Giuseppe Maddaloni, e di suo figlio, il campione di judo Pino Maddaloni. Attraverso l'insegnamento dello sport, Enzo è in grado di salvare molti ragazzi della periferia di Napoli dalla cattiva strada.

La tematica può essere sviluppata in due incontri così da proporre agli adolescenti di preparare loro stessi la preghiera per la conclusione. Ciascuno può esprimere un pensiero da mettere in preghiera e al termine si può concludere con il PADRE NOSTRO insieme.
Orazione finale:
Dio dei nostri padri, che hai scelto sagge e coraggiose guide per il tuo popolo, concedi alla tua Chiesa di avere sempre pastori santi e premurosi che sappiano condurre i fratelli verso la salvezza da te promessa. Per Cristo nostro Signore.
Amen.

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