FINALITA’ EDUCATIVA
Mettere ordine nella propria vita
quotidiana. Comprendere che i genitori,
i nonni, i fratelli maggiori, gli insegnanti, i capigruppo, gli allenatori e
anche gli educatori e i sacerdoti nella Parrocchia non sono portatori di “comandi”,
ma sono "guide ed esempio",
ossia che aiutano nelle scelte da compiere. Stabilire quali relazioni e quali
rapporti debbano esserci tra l'adolescente e queste figure di riferimento.
ATTIVITA’
Chiedere agli adolescenti la loro
definizione dei due termini: AUTORITÀ –
AUTOREVOLEZZA
Dopo il confronto, spiegare la
differenza dei due termini portando degli esempi concreti. Chiedere a loro qual
è l’atteggiamento più produttivo.
Autorità ed autorevolezza, pur essendo simili come termini ed
espongono lo stesso concetto del comando, rappresentano due realtà diverse con
condizioni dissimili tra loro. Il termine Autorità (dal latino auctoritas)
fonda le sue radici su un modello gerarchico strutturato in piramide dove il
capo ricopre il vertice più alto, al di sotto del quale ci sono i cosiddetti
dipendenti, i quali a loro volta hanno dei sottoposti e così via di seguito
sino alla base della struttura. L’autorità del capo deriva dall’assegnazione di
un ruolo, una carica che serve al sistema per poter essere ottimamente
funzionante, il capo è investito di poteri direttivi, gestionali ed
organizzativi, è la mente del sistema, i suoi esecutori sono le braccia, i suoi
collaboratori coloro che lo aiutano nel lavoro e gli facilitano le incombenze
di tipo tecnico o relative a questioni o materie che richiedono una
preparazione particolare e specifica. Per funzionare tale sistema, le
indicazioni e le disposizioni del capo devono essere seguite ed adempiute in
tutti i gradi della scala gerarchica, egli si occuperà di comunicare con le
persone con cui ha contatto diretto le quali trasmetteranno il messaggio ai
loro sottoposti e così sino all’ultimo esecutore. La posizione di capo o guida
ha il potere inerente al posto che occupa, questo non significa che abbia
intelligenza, conoscenza, capacità e carisma, il suo potere è dato
esclusivamente dal ruolo, ma può scegliere di essere un buon capo o meno a
seconda della buona amministrazione che realizza, che sappia tener conto anche
delle esigenze delle persone che gli sono affidate. Ogni subalterno riconosce
nel capo l’autorità dell’ambito che gli è affidato, deve eseguire gli ordini ed
i lavori richiesti, deve cioè svolgere gli incarichi manuali di sua incombenza,
ma non significa che deve avere anche la sua stima e rispetto che si concedono
soltanto ad un capo che si fa amare dai suoi sottoposti non limitandosi
soltanto a comandare. Diverso è il concetto di Autorevolezza (dal latino
gravitas) che corrisponde ad una carica o funzione che non viene imposta per
un’esigenza pratica di gestione del lavoro, dei ruoli, una gerarchia del
sistema intrinseca alla sua funzionalità, ma si crea spontaneamente per empatia
e per la capacità del capo di essere un leader, per il riconoscimento che
riceve dagli altri appartenenti al gruppo, per il valore che questi gli danno e
per il potere che gli concedono in quanto si sentono da lui assicurati,
protetti, difesi, tutelati, fiduciosi del suo operato in favore di tutti e non
solo fine a se stesso, ai proprio vantaggi o guadagni, ai personali interessi,
ma che lavora ed opera per gli interessi dell’intera comunità.
Il leader che gode di
autorevolezza ricopre una carica per i suoi valori personali e per le opere ed
attività che realizza a favore della collettività o della società in cui vive e
lavora ed agisce con un comportamento partecipativo e non gestionale o
direttivo tipico del capo d’azienda. Il comportamento partecipativo significa
che egli opera ed agisce in collaborazione con tutti gli altri, ponendosi nel
gruppo come un loro pari, egli ha la capacità di coinvolgere gli altri nei suoi
progetti, che sono sempre finalizzati al bene collettivo, e riesce anche ad
influenzare i comportamenti del gruppo. Essendo riconosciuto come leader le
persone tenderanno non solo a fidarsi di lui ma anche a seguire i suoi
consigli, perché da tale rapporto traggono immensi vantaggi che sono la
possibilità di avere qualcuno che progetta ed agisce per loro conto, persona di
cui fidarsi tra l’altro, e propone man mano le soluzioni più adeguate e consone
per risolvere i problemi, le situazioni critiche o a rischio. Tutto questo
comporta un rapporto basato soprattutto sulla fiducia e sulla stima del valore
e delle capacità del leader, ciò fa di lui un vero leader non solo idealmente
ma in tutti gli aspetti pratici del ruolo autoritario come capo carismatico e
trascinatore. Non agirà con ordini ed imposizioni, tipiche del capo autoritario
che dispone, ma farà osservazioni, proporrà idee e progetti, sarà autorevole in
quanto verrà ascoltato e seguito.
ATTIVITA’ E DINAMICHE
Singolarmente o in piccoli
gruppi, gli adolescenti sono invitati ad analizzare la loro esperienza in
merito alle figure di riferimento nei diversi ambiti della loro vita: famiglia,
scuola, sport, divertimento, Parrocchia…
·
Quali
sono le tue guide, i tuoi leaders?
·
Com’è il
tuo rapporto con ciascuno di loro?
·
A quali
persone riconosci il valore dell’autorevolezza?
·
Come
riconosci che la loro guida è finalizzata al tuo bene?
·
Ci sono
situazioni o momenti nei quali non riesci a seguire le indicazioni della guida?
Perché?
·
Senti il
bisogno di altre figure?
Si può anche invitare i ragazzi a
produrre un piccolo video composto da interviste e considerazioni in merito
alle loro figure di riferimento.
OBBEDIENZA E LIBERTÀ
Obbedienza e libertà. Due termini
antitetici, ma solo in apparenza. Perché, come sottolinea il teologo
Bonhoeffer: «L’obbedienza senza libertà è schiavitù, la libertà senza
obbedienza è arbitrio». Solo nella libertà quindi, è possibile l’obbedienza,
che diventa scelta di vita, adesione ad un progetto da rinnovare costantemente
con la volontà e le azioni. L’uomo nasce nell’obbedienza: alle leggi della
natura, alla cultura e alle tradizioni proprie della società in cui vive, agli
ordinamenti statali e comunitari. Per il cristiano ciò diventa accettazione dei
limiti propri della creatura, che solo nel Creatore realizza quella vocazione
alla libertà propria dell’essere umano, che diversamente potrebbe sfociare in
libertinaggio e anarchia. Per il cristiano, la partita obbedienza-libertà si
gioca nella relazione filiale con Dio e nel desiderio di adempiere alla sua
volontà.
OBBEDIRE È AMARE di Mons. Francesco Follo (in Zenit.org)
Ma perché è così importante obbedire a Dio?
Perché Dio ci tiene tanto a essere obbedito? Non certo per il gusto di
comandare. Lui è un Padre che vuole dei figli e non degli schiavi. Questi figli
sono chiamati ad amarlo mediante l’obbedienza, perché l’amore è realmente
un’affermazione dell’altro, di un Altro: è obbedienza, praticate come
l’affermazione di una presenza quale criterio e comportamento di vita.
L’obbedienza a Dio è importante perché, obbedendo a Lui, noi facciamo la Sua
volontà di bontà e perfezione, vogliamo le stesse cose che Lui vuole, e così
realizziamo la nostra vocazione originaria che è di essere “a sua immagine e
somiglianza”. Siamo nella verità, nella luce e di conseguenza nella pace, come
il corpo che ha raggiunto il suo punto di quiete. Dante Alighieri ha racchiuso
tutto ciò in un verso tra i più belli di tutta la Divina Commedia: “e ’n la sua
volontate è nostra pace” (Dante Alighieri, Paradiso, 3,85). Per capire che la
parola di Cristo non è un comando d’imposizione ma una legge di libertà
amorosa, dobbiamo chiedere al Signore di farci capire che l’amore non è dare
ciò che si ha, ma ciò che si è; allora si vuole anche ciò che gli altri sono,
non le loro cose. Non il dono delle proprie cose è amore, ma il dono di sé. Non
per nulla nella Sacra Scrittura l’amore è identificato all’obbedienza, perché
l’obbedienza è il dono di sé. Se mi amate, osservate i miei comandamenti… Chi
osserva i miei comandamenti, quello è colui che mi ama, dice Gesù nell’Ultima
Cena
L’obbedienza cristiana è prima di
tutto atteggiamento d’amore. È quel particolare tipo d’ascolto che c’è tra
amici veri, perché illuminato dalla certezza che l’amico, che dà la vita per
l’amico, ha solo cose buone da dire e da dare all’amico: un ascolto intriso di
quella fiducia che ci accoglienti della volontà di Cristo, sicuro che essa sarà
per il bene. L’obbedienza a Dio è cammino di crescita e, perciò, di libertà
della persona perché consente di accogliere un progetto o una volontà diversa
dalla propria che non solo non mortifica o diminuisce, ma fonda la dignità
umana. Obbedire è vivere nella libertà Finché non c’è amore si obbedisce
“costretti” da varie regole più o meno rigide e più o meno numerose. Nell’amore
si ascolta la volontà dell’amato e si è lieti di metterla in pratica.
L’obbedienza cristiana è libera e liberante., per questa obbedienza a Dio
coincide anche con “il vero bene dell’Uomo”, di ogni uomo. Per il cristiano,
l’amare Dio implica ovviamente l’obbedienza alla Sua volontà in vista di un
sommo bene: la pace e l’amicizia con Dio e con gli uomini (si pensi alla “legge
delle Beatitudini” data da Gesù durante il suo Discorso della Montagna. La
Madonna è, dopo Cristo, l’esempio più alto di obbedienza, di amore e di
libertà. La Vergine Maria ha accolto con libertà suprema il Verbo di Dio. Lei
ha “osservato” (= custodito e messo in pratica) fedelmente il dono dell’Amore
di Dio, che grazie alla suo sì obbediente si è fatto carne e a posto la sua
dimora in noi e tra noi. Lei ha obbedito alla suprema legge dell’amore. Con il
suo libero sì, ha fatto sì che la verità e l’amore di Dio entrasse nel cuore di
lei e di ogni essere umano, che come lei dice sì al dono di Dio. Allora Dio
pone nel cuore umano la sua fissa dimora. Non è un Dio qualsiasi:
è il Dio vivo,
che è amore,
che crea a sua immagine le
libertà,
che libera dalla morte con la
croce di Pasqua,
che apre all’uomo, nello
Spirito Santo, lo spazio infinito della vera libertà.
Credere in questo Dio non è aderire ad una teoria, non è avere
un’opinione sul divino e sull’umano. Credere è riconoscere una Presenza che ci
ama. In effetti “la fede nasce
dall’impatto dell’amore di Gesù con il cuore dell’uomo. La fede è l’iniziativa
dell’amore di Gesù Cristo sul suo cuore.”(Benedetto XVI).
Ogni guida esige obbedienza: che senso ha per te?
Quali passi siamo invitati a fare in questa direzione?
L’obbedienza a Dio passa attraverso tante mediazioni:
quali sono le persone che ti aiutano a viverla?
MOSÈ: AMICO DI DIO E GUIDA DEL
POPOLO D’ISRAELE
[…]A ottant’anni Mosè è ancora un uomo vivo: ha occhi attenti per
scorgere un roveto che brucia, ma non si consuma, ha orecchi vigili per
ascoltare la voce di Dio che chiama. Ma la ricerca richiede impegno. Alla sua
età Mosè non ha paura di lasciare la fresca ombra della tenda per affrontare la
calura del deserto, non teme di abbandonare il comodo cammino in pianura per
inerpicarsi faticosamente su per la montagna: vuole rendersi conto
personalmente, libero da ideologie deformanti vuole conoscere la verità
direttamente. Il desiderio di verificare e lo stupore di Mosè a ottant’anni
vengono premiati: Dio chiama proprio lui, il “quasi faraone” fallito, il
liberatore rinnegato, il pastore ramingo in terra straniera. Dio ha bisogno di
Mosè per realizzare il progetto di liberazione del suo popolo: “Ho osservato la
miseria del mio popolo in Egitto… conosco le sue sofferenze. Sono sceso per
liberarlo dalla mano dell’Egitto e farlo uscire da questo paese. Ora va! Io ti
mando dal faraone. Fa uscire dall’Egitto il mio popolo, gli israeliti!” (Es
3,7-11). Altre volte nella preghiera Mosè aveva chiesto che Dio realizzasse i
suoi progetti di uomo, ora è Dio che chiede a Mosè di mettersi a disposizione
per fare la sua volontà. […] Ora Mosè si è “tolto i sandali dai piedi” (Es
3,5); liberato dalla presunzione di salvare i suoi fratelli, si presenta nudo
davanti al Signore: solo così può essere strumento docile nelle mani di Dio e
segno della sua misericordia. Mosè e Giosuè: la preghiera e l’azione Sapere che
Dio lo ama e lo conosce per nome è fonte di meraviglia e di gioia per Mosè,
tuttavia l’incarico ricevuto è gravoso: “Chi sono io per andare dal faraone e
per fare uscire dall’Egitto gli israeliti? (Es 3,11). Ma Dio, dopo aver
chiamato, non abbandona: “io sono con te” (Es 3,12). La liberazione avrà tempi
lunghi, i momenti di difficoltà e di prova non mancheranno, per il popolo e per
Mosè. Quando il popolo sta fuggendo e il faraone con il suo esercito sta
arrivando, gli israeliti vengono presi da grande paura e contestano Mosè:
“Forse perché non c’erano sepolcri in Egitto ci hai portati a morire nel
deserto? Che ci hai fatto portandoci fuori dall’Egitto? Non ti dicevamo in
Egitto: lasciati stare e serviremo gli egiziani, perché è meglio per noi
servire l’Egitto che morire nel deserto?” (Es 14,11-12). La strada della liberazione
è in salita. Seguire Mosè comporta abbandonare la vita di accomodanti
compromessi in Egitto per correre verso un destino conosciuto soltanto da Dio.
Anche Mosè viene posto di fronte all’alternativa di trattare la resa con il
faraone dando ascolto a chi preferisce non correre rischi tornando in Egitto,
oppure fidarsi di Dio: “Perché gridi verso di me? Ordina agli israeliti di
riprendere il cammino” (Es 14,15).
Nel combattimento contro gli amaleciti a Refidim, Mosè e Giosuè
rappresentano due facce della liberazione. È possibile proseguire nel cammino
verso la terra della libertà, superando le difficoltà e vincendo i nemici, solo
se c’è chi prega e chi combatte. C’è uno stretto rapporto fra Mosè, che prega
sul monte aiutato da Aronne e Cur, e Giosuè, il capo militare che combatte a
valle con l’esercito. “Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma
quando le lasciava cadere, era più forte Amalek” (Es 17,11). All’inizio
entusiasma la sensazione di sentirsi strumenti per risolvere i problemi
dell’altro, ma ben presto il peso della fatica e l’usura della quotidianità
tolgono l’energia e le braccia tendono a cadere. Non si può essere a lungo eroi
solitari e avanguardie generose, occorre cercare la collaborazione di tutti: di
chi aiuta a tenere le braccia alzate e di chi non ha paura di sudare nel caldo
della pianura, sporcandosi nella polvere della battaglia. Mosè: “servo inutile”
Dio aveva chiesto a Mosè di tornare in Egitto per mettersi alla guida del suo
popolo. È una vocazione di grande responsabilità che esige disponibilità al
servizio e portare la croce. Mosè svolge il suo ruolo di guida e di mediatore fra
Dio e il suo popolo innanzitutto con la parola. Le parole di Mosè sono efficaci
perché sono l’eco della parola potente di Dio: “Io sarò con la tua bocca e ti
insegnerò quello che dovrai dire” (Es 4,12). Una parola così potente che si
trasforma in segni e realizza ciò che dice. Quello che Mosè non era riuscito a
ottenere con la violenza, ora lo raggiunge con la forza della parola. Mosè è
profeta, cioè portatore della parola di Dio, una Parola che rimprovera e
consola, che indica il cammino e suscita speranza nei momenti di paura. Mosè è
il postino di Dio che sale sul monte per prendere le tavole dell’alleanza, ma
dopo il peccato è anche l’avvocato difensore e lo scudo del popolo nei
confronti di Dio: “Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… E se no, cancellami
dal tuo libro che hai scritto” (Es 32,32). È una preghiera che indica quanto
Mosè si senta intimamente coinvolto nella sorte del suo popolo. Mosè è
responsabile della sopravvivenza di coloro che gli sono stati affidati da Dio e
si fa strumento per procurare il pane, l’acqua e la carne per il popolo nel
deserto. Ma al termine di quant’anni di fatica Mosè muore sul monte dal quale
vede in lontananza la terra promessa. Sembrano risuonare le parole di Gesù:
“Anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:
Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10). […]
Testo integrale in http://forum.pastorale.murialdo.org/index.php?method=section&id=6479
Ricerca altri
personaggi dell’A.T. che Dio ha chiamato come
guide del suo popolo:
patriarchi, giudici, re, profeti…
Quali sono le caratteristiche
della guida che Dio sceglie?
Film
L’oro di
Scampia Un film di Marco Pontecorvo.
Con Beppe Fiorello, Anna Foglietta, Gianluca
Di Gennaro Drammatico, durata 100 min. - Italia 2013 Il film racconta la storia
di Enzo Capuano, personaggio ispirato a Giuseppe Maddaloni, e di suo figlio, il
campione di judo Pino Maddaloni. Attraverso l'insegnamento dello sport, Enzo è
in grado di salvare molti ragazzi della periferia di Napoli dalla cattiva
strada.
La tematica
può essere sviluppata in due incontri così da proporre agli adolescenti di
preparare loro stessi la preghiera per la conclusione. Ciascuno può esprimere
un pensiero da mettere in preghiera e al termine si può concludere con il PADRE
NOSTRO insieme.
Orazione
finale:
Dio dei
nostri padri, che hai scelto sagge e coraggiose guide per il tuo popolo,
concedi alla tua Chiesa di avere sempre pastori santi e premurosi che sappiano
condurre i fratelli verso la salvezza da te promessa. Per Cristo nostro
Signore.
Amen.
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