martedì 14 aprile 2020

INFLUENZA "SPAGNOLA" - INFLUENZA "CINESE" COVID19

 INFLUENZA SPAGNOLA                                                  INFLUENZA CINESE COVID-19


Il popolo italiano combatte coraggiosamente l’attuale pandemia,  sono molte le persone che rischiano la vita, medici e sacerdoti che pur avendo contratto il virus  hanno continuato ad assistere i propri pazienti e curato la comunità parrocchiale.   I medici di “famiglia”, sebbene in isolamento a loro volta assistiti dai familiari hanno aiutato  coloro che spesso vengono classificati come “altri” . Tutto ciò dimostra che tutti hanno il potenziale di espandere la sfera di chi amano e a cui tengono. Nei momenti di crisi, questa espansione può significare aiutare gli altri nella propria comunità come se fossero membri della propria famiglia. Per esempio, i giovani con maggiore resistenza al virus possono portare con attenzione cibo e medicine ai vicini anziani che sono più vulnerabili. Può anche significare combattere sia la tentazione d’incolpare alcuni di aver provocato la malattia, sia l’impulso di accusare falsamente altri innocenti di razzismo “influenza cinese”. Questi sono alcuni dei messaggi che dobbiamo  diffondere nel mondo nel combattere il virus COVID-19.
Il pensiero va all’ ottobre 1918, La “Grande Guerra” è agli sgoccioli l ’Italia è stremata,  sono giorni difficili, sulla penisola si è abbattuta una seconda ondata di influenza “spagnola”, che sta facendo più vittime della guerra.
Se la prima ondata del virus, nella primavera precedente, era passata quasi sottotraccia, il nuovo picco di settembre non può essere ignorato: la maggior parte dei circa 4 milioni e mezzo di contagi e 600mila morti – su una popolazione di 36 milioni di abitanti – viene colpita proprio in quelle tredici settimane da settembre a dicembre.
Tutto a cavallo tra la Prima Guerra Mondiale e il fascismo. Eppure ne abbiamo pochissima memoria.
La situazione degenera rapidamente. Conseguenza soprattutto delle tardive contromisure del governo e delle amministrazioni locali, che in un primo momento avevano sottostimato l’impatto dell’influenza spagnola
Nei mesi più duri del conflitto la censura della guerra aveva contribuito a sbiadire l’impatto del virus. 
A Torino – una situazione «gravissima» nelle parole di Turati – dove nel mese di ottobre si registrano anche 400 morti al giorno.
In pieno autunno il bilancio della spagnola inizia a diventare insostenibile e lo Stato deve reagire. Viene diffuso  il decalogo, con una serie di indicazioni da seguire: «Fare gargarismi con acque disinfettanti (dentifrici a base di acido fenico, acqua ossigenata), non sputare per terra, viaggiare in ferrovia il meno possibile, diffidare dei rimedi cosiddetti preventivi, evitare contatti con persone, non frequentare luoghi dove il pubblico si affolla (osterie, caffè, teatri, chiese, sale di conferenze). Così facendo si mette in pratica l’unico mezzo veramente efficace contro l’influenza, l’isolamento», e così via.
In tutta la Penisola e prende via a una campagna di disinfezione dei luoghi pubblici, viene ridotto l’orario di apertura dei negozi, con le sole farmacie a beneficiare di un allungamento dei turni; cinema e teatri restano chiusi.  La classe dirigente vuole fermare solo i servizi non essenziali, facendo lavorare a pieno regime le principali attività economico-produttive: fermare la complessa macchina statale avrebbe incalcolabili ripercussioni sull’operatività dell’esercito in un momento decisivo del conflitto.
La conseguenza però è l’aumento di assembramenti all’ingresso dei negozi alimentari. I ceti popolari temono di rimanere senza beni di prima necessità.
Le fabbriche non vengono chiuse, le migliaia di operai, moltiplicano le occasioni di infezione. Il contagio avanza inesorabilmente nelle industrie facendo crollare la produttività.
Il ministero della Sanità verrà istituito molti anni dopo,  nel 1958, il sistema sanitario nazionale  si dimostra del tutto inadeguato per una pandemia di quella portata. Le malattie infettive, sono in carico al ministero dell’Interno, e l’unico provvedimento certo – conosciuto e condiviso anche nel resto del mondo – è il distanziamento sociale.
«Si guardava prevalentemente alla sicurezza – spiega il professor Mattera – si puntava a isolare i malati in casa. Questi, privi di cura, morivano in numero maggiore, e contagiavano i familiari nelle case, che morivano di conseguenza». Il personale sanitario è abituato a una routine lenta, i medici protestano per le estreme condizioni lavorative, con poco personale e mezzi inadeguati.
Con il passare delle settimane il peso di quella seconda ondata di influenza spagnola presenta il conto a tutta la popolazione italiana.
Per molti italiani nel 1918 lo Stato è ancora una realtà astratta, distante, che si presenta soltanto per le tasse e la leva militare: c’è una certa diffidenza, o comunque distanza, verso le istituzioni.
«Questi sentimenti – spiega Mattera – si trasformano in ostilità quando ci si rende conto che le contromisure dello Stato non hanno effetto. Lo si nota in alcune lettere inviate dai cittadini alle istituzioni, che nel corso dell’epidemia passano da un tono di supplica a uno di avversione, a volte sfociando perfino in teorie del complotto: si diceva che il malfunzionamento delle istituzioni fosse frutto di chissà quali oscuri interessi di Roma. Alimentando ulteriori paranoie e anche la diffusione di false notizie in piena escalation di influenza».
Il i primi di  novembre, la Giunta sanitaria di Milano rileva «il quasi completo ripristino dello stato normale della salute pubblica, ferme quelle disposizioni la cui efficacia è stata dimostrata chiede la revoca di tutti i provvedimenti eccezionali».
Nel Mezzogiorno l’influenza spagnola colpisce ancora più forte. Anche qui riaprire e tornare alla normalità non porta il sollievo sperato: la pandemia ritorna per una terza ondata. Anche a causa dei reduci del conflitto, che ritornano alle loro case e alimentano nuovi focolai.
Come spiega il professor Mondini: «Se guardiamo l’Italia sappiamo che l’epidemia, combinata alla Grande Guerra, uccise circa un milione e 200mila persone per lo più comprese tra i 18 e i 30 anni nel quinquennio ‘15-’20. Il combinato delle due cause devastò la piramide demografica italiana in modo talmente profondo che secondo alcuni demografi ne siamo venuti fuori solo dopo la Seconda Guerra Mondiale». È possibile, quindi, che nell’estate del ‘19 tutti quelli che erano entrati in contatto con il virus siano morti o abbiano sviluppato una forma di immunità.
Una delle immagini fornite dalla California State Library scattate durante l’epidemia nota come ‘Spagnola’ a San Francisco, in California, nel 1918 (fotografia ristampata il 4 aprile 2020). Gli esperti stanno cercando di capire come la nuova pandemia della malattia da COVID-19 del coronavirus potrebbe diffondersi confrontando i focolai passati come SARS, MERS e influenza suina. Alcuni esperti stanno paragonando l’epidemia di coronavirus alla pandemia di influenza spagnola (virus dell’influenza H1N1) del 1918, affermando che il rigoroso allontanamento sociale e altre misure hanno rallentato la diffusione della malattia e ridotto i tassi di mortalità (Ansa/Epa)










Il virus fece 50 milioni di vittime in tutto il mondo

Sono immagini lontane eppure familiari quelle della terribile pandemia di influenza spagnola, si stima che il numero dei contagiati arrivò al mezzo
La foto di famiglia con le mascherine, sanatori, drammatiche scene di famiglia si alternano in questa fotogallery che nei giorni della pandemia del coronavirus appare in una luce nuova.
Sono profonde le differenze fra quell’evento e l’attuale pandemia di COVID-19. Fra queste figurano alcune differenze fondamentali tra le due malattie e le tecnologie a disposizione per combatterle. Ciononostante, chi si trova a fare i conti con COVID-19 oggi ha molte delle stesse tendenze umane di base, sia buone che cattive, che avevano i loro antenati. Pertanto, la risposta umana di un secolo fa potrebbe fornire alcuni utili spunti per affrontare la situazione attuale.

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